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TESTO Dal deserto parole di vita

don Bruno Maggioni

Natività di S. Giovanni Battista (Messa del Giorno) (24/06/2007)

Vangelo: Lc 1,57-66.80 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 1,57-66.80

57Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. 58I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.

59Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. 60Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». 61Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». 62Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. 63Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. 64All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. 65Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. 66Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.

80Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

La liturgia ha scelto il brano di Luca che racconta la nascita del Battista (1,57 ss). Una nascita immersa in un'atmosfera di gioia e di stupore. E la sua notizia si diffonde in tutta la regione montuosa della Giudea. Luca vuol farci capire che la nascita di Giovanni è la «prova» che Dio è ancora in mezzo al suo popolo. Se vogliamo però essere fedeli all'intenzione di Luca non dobbiamo leggere il racconto della nascita come un episodio a sé stante e concluso, bensì come l'inizio di una vicenda che va considerata in tutto il suo sviluppo.

Luca presenta anzitutto Giovanni come un predicatore (3,1-9), come una «Voce di uno che grida». Annuncia il giudizio di Dio: «La scure è già posta alla radice degli alberi» e denuncia l'ipocrisia religiosa del suo popolo. Ai figli di Israele, orgogliosi di essere discendenti di Abramo, ricorda che «Dio sa trarre figli di Abramo anche dalle pietre»: non è nell'appartenenza a una razza o a una struttura religiosa che sta la salvezza, ma nella fede e nella vita. E a Erode (3,19-20) rimprovera la sua convivenza con la moglie del fratello e molte altre malefatte. Andò come si poteva prevedere: fu rinchiuso in prigione. È la sorte dei profeti ed è il segno della loro verità.

In secondo luogo Giovanni è presentato come il testimone di Gesù. È forse la sua caratteristica più importante: «Io vi battezzo con acqua, ma sta per venire colui che è più grande di me» (3,16).

Giovanni – ed è la terza caratteristica – è coraggioso fino al martirio e insieme umile fino a sapersi mettere in disparte. Non approfitta della simpatia delle folle, non si mette a capo del movimento che la sua parola ha suscitato. Vuole unicamente che al centro dell'attenzione sia il Cristo. Gesù è più grande di lui: «Non sono nemmeno degno di sciogliergli i lacci delle scarpe». Infine – tratto sorprendete e importante – Giovanni sa unire alla forza della denuncia e all'austerità della propria vita una meravigliosa capacità di concretezza e moderazione (3,10-14).

L'austero Giovanni vive nel deserto ma non dice a nessuno di fare altrettanto. Alle folle raccomanda l'amore fraterno: chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha. Agli esattori delle tasse che operavano al soldo dello straniero (molti avrebbero detto loro di cambiare lavoro!) dice esplicitamente di non essere esosi, ma giusti. Ai soldati raccomanda di non fare prepotenze, ma di accontentarsi della paga. Quello che conta è dunque il mutamento della vita quotidiana e normale.

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