TESTO Senza meritare nulla
XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (18/08/2002)
Vangelo: Mt 15,21-28
In quel tempo, 21partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidone. 22Ed ecco, una donna cananea, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». 23Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». 24Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». 25Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». 26Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». 27«È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». 28Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.
Tutti abbiamo sperimentato – almeno qualche volta – l'insistenza dei bambini. Soprattutto i genitori ne hanno fatto esperienza: quando un bambino vuole ottenere qualcosa è davvero difficile resistere. C'è infatti una tenacia nelle loro richieste che è disarmante: alla fine bisogna cedere, o comunque venire a patti.
Se analizziamo con attenzione tale comportamento dei bambini, dobbiamo riconoscere che non si tratta soltanto di capricci. Certo, spesso la richiesta che viene fatta è impertinente, e come tale deve essere respinta dai genitori. E tuttavia sempre accade che dietro l'insistenza dei piccoli si nasconda un sincero sentimento di fiducia. Il bambino infatti è consapevole di non meritarsi nulla: egli sa che l'esaudimento della sua richiesta dipende quasi soltanto dalla buona disposizione della madre (o del padre). Ma appunto per questo il bambino insiste: perché si fida dell'affetto materno (o paterno); e non dubita della buona disposizione dei genitori nei suoi confronti.
Esattamente così possiamo anche interpretare l'insistenza della donna Cananea che ci viene descritta dal Vangelo di domenica (Mt 15,21-28). Essendo pagana, quella donna non si meritava di essere esaudita da Gesù: "non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele" (Mt 15,24). L'appartenenza al popolo eletto, infatti, era necessaria per intendere i miracoli: perché soltanto chi ha udito le promesse di Dio può interpretare i miracoli come benedizione divina. Solo i figli, infatti, sono capaci di riconoscere la voce del padre (o della madre): e dunque "non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini" (Mt 15,26).
Eppure quella donna insiste: "È vero, Signore: ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni" (Mt 15,27). Essa in questo modo riconosce la pertinenza delle parole di Gesù: e dunque riconosce di non essere all'altezza del dono richiesto. Ma la sua insistenza rivela pure una fiducia incondizionata nella generosità del Signore. Al punto che il suo grido di dolore per la figlia "crudelmente tormentata" (Mt 15,22) si trasforma in preghiera: non è più dunque il gemito di una disperata ma è la supplica di una credente.
Appunto questa fede colpisce Gesù, al di là della innegabile distanza religiosa e culturale che lo separa dalla Cananea: "Donna, davvero grande è la tua fede!" (Mt 15,28). Ed è esattamente questa fiducia tenace ed insistente che ottiene il miracolo: "Ti sia fatto come desideri" (Mt 15,28). Proprio perché conosce la generosità del Signore quella donna riesce a vedere anche il miracolo della guarigione di sua figlia.
Sta forse qui il motivo di tanti nostri fallimenti: noi non crediamo più ai miracoli. Non mi riferisco tanto a quei prodigi umanamente inspiegabili che attirano la curiosità delle folle. Penso piuttosto a quei miracoli molto ordinari che sono disseminati nella nostra storia, e ai quali noi non crediamo più, rassegnati come siamo all'apparente banalità della vita di tutti i giorni. Eppure basterebbe perseverare nella fede – in quella fede che altre volte si è mostrata promettente – per aprire gli occhi sui miracoli di ogni giorno, o, almeno, per non lasciarci spegnere dalla rassegnazione e dal fatalismo.
Possiamo allora davvero lasciarci istruire dalla fede dei bambini. Essi sono spesso insistenti perché credono nella generosità della mamma e del papà: ma in tal modo dimostrano pure di credere nella generosità della vita tutta. E così imparano quella fede che va al di là dell'affetto stesso dei genitori – il quale non sempre potrà essere all'altezza... – permettendo loro di affrontare con una certa sicurezza le incognite della vita quotidiana.
Appunto tale sicurezza noi abbiamo smarrito: ma possiamo di nuovo apprenderla, ritornando alle origini della nostra stessa esistenza e lasciandoci ammaestrare dai bambini, ben sapendo che "a chi è come loro appartiene il regno di Dio" (Mc 10,14).