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TESTO Trinità: invitati perchè unici ed irripetibili

don Maurizio Prandi

Santissima Trinità (Anno C) (03/06/2007)

Vangelo: Gv 16,12-15 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.

Se c'è una parola dalla quale possiamo partire nella solennità di oggi per non restare troppo distanti dalla realtà con quanto possiamo dire sul mistero che celebriamo, questa parola è: relazione. Nei manifesti che la comunità di Statale ha preparato per invitare le persone alla festa parrocchiale, abbiamo messo la bella immagine delle tre persone che da Abramo vengono invitate a mensa alle querce di Mamre. Da sempre quello è stato interpretato come un incontro con il Dio-Trinità, con il Dio che è Padre, Figlio, Spirito Santo. E' importante questo, perché da questa visione di Dio, dalla accoglienza in noi di questo Dio discende anche la visione della persona umana come relazionale (E. Bianchi). E' stato scritto: Dimmi che Dio hai e ti dirò quale è la tua umanità... Nella Trinità, lo possiamo notare anche nell'ultima pagina del foglio delle letture, ogni persona è per l'altro; osservate l'icona: il Padre guarda il Figlio e il Figlio guarda il Padre... entrambi sono rivolti l'uno verso l'altro... e lo Spirito, che domenica scorsa abbiamo detto essere l'amore che circola tra i due, si rivolge ad entrambi, guarda entrambi.

E' guardando al Dio-Trinità che il cristiano comprende che la sua vita si realizza pienamente nella relazione con l'Altro e con gli altri... è guardando al Dio-Trinità che il cristiano si comprende all'interno di una comunione d'amore... è guardando al Dio-Trinità che impariamo il rispetto per la diversità e la sacralità della vita altrui: come i nomi delle tre persone divine non sono confusi né interscambiabili, così la persona umana è un valore in sé, è un fine e non un mezzo, è una grandezza non sacrificabile a interessi sociali o pubblici o di altro tipo (E. Bianchi).

Mi pare però che qui sia scritto anche un pezzo importante che riguarda la storia personale di ognuno, la chiamata che ognuno di noi singolarmente riceve: i tre sono a mensa ed un posto è vuoto... ognuno è invitato ad occupare quel posto... io sono invitato ad occupare quel posto, ed io sono di fronte al Padre, al Figlio e allo Spirito. L'invito a mensa lo sento così, come l'invito ad essere me stesso a vivere la mia particolarità, la mia unicità, essere il mio nome ed il mio volto e non un altro. Sono invitato a mensa non perché importante ma in quanto unico ed irripetibile (E. Bianchi) unicità ed irripetibilità che nel mondo dell'omologazione e dell'appiattimento sui modelli non possono che andare coltivate ed evidenziate.

Ecco che possiamo tornare a quella frase di don Tonino Bello che tante volte ci siamo consegnati: convivialità delle differenze. Possiamo parlare di Dio così, dicendo che è una convivialità, una comunione di differenze e allo stesso identico modo dovremmo poter dire della chiesa di Dio su questa terra: comunione, convivialità delle differenze. O la chiesa è comunione, oppure non è. La contemplazione del mistero della Trinità ci dà così la possibilità di illuminare il nostro modo di essere nel mondo e di stare nella compagnia degli uomini... di più: ci dà la possibilità di leggere la storia e di correggere eventuali comportamenti che troviamo siano difformi dalla modalità dell'agire divino, ci dà la possibilità di aggiornare e correggere la nostra immagine di Dio, la nostra idea di Dio, la nostra comprensione e definizione di Dio (E. Bianchi).

Proprio su questo ricordo una lezione di Don Pierangelo Sequeri, quando sette anni fa ancora riuscivo ad andare in facoltà teologica a Milano un giorno alla settimana. Citando J. Derida, diceva che la differenza delle persone divine al suo interno, è a sua volta istitutrice di differenza per chi sa stare in ascolto del mistero... è una differenza che ci rende differenti, una differenza che non ci vuole assorbire in se' (restiamo noi stessi nella nostra unicità) e nemmeno vuole appiattire, omologare gli uomini (restiamo noi stessi nella nostra irripetibilità).

C'è un'altra parola che mi colpisce molto, ed è la parola: debolezza. Lo sguardo di Gesù sui discepoli è uno sguardo di compassione sulla loro debolezza: Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso... Gesù vede la debolezza dei suoi, la loro incapacità a portare il peso delle parole che egli ancora avrebbe da dire... la solennità di oggi ci dice che ci sono pesi che non siamo in grado di portare senza il sostegno del suo Spirito, e che c'è un mistero, quello del Figlio, che da soli non siamo in grado di sondare. Allora il dono dello Spirito Santo non è un premio per la nostra bravura, non è un premio per il fatto che nonostante tutto rimaniamo cristiani, ma è un dono per chi si riconosce debole, fragile, per chi sa di essere debole, fragile. Sento che è per me questo dono, che è per i miei parrocchiani, che è per tutti coloro che riconoscono la propria vita come una vita ferita, lacerata, che non sempre si sente all'altezza, che non sempre ha una risposta pronta, che non sempre è vincente.

 

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