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ESPERIENZA

41. Siate sottomessi

Ciao don, ti racconto una piccola ma significativa esperienza.

Questa mattina, dovendomi recare in un negozio per una commissione, parcheggiai l'auto in una via a ridosso del marciapiede.

Considerati i pochi minuti della sosta e la scarsa assenza di traffico in quella zona, decisi di lasciarla come avevo fatto altre volte. Da una vicina panchina, dov'era seduto, si alzò un signore anziano che avvicinandosi mi disse in tono polemico: "Non è quello il posto giusto per parcheggiare la macchina!".

Io, ricordandomi dell'insegnamento della prima lettura della messa, "Siate sottomessi gli uni agli altri", che tu stesso hai invitato a vivere almeno oggi, senza fiatare e in atteggiamento di completa obbedienza, portai l'auto in un parcheggio adeguato.

Lo stupore di quell'uomo fu tale che rimase ammutolito e inebetito a fissarmi per alcuni istanti.

All'uscita dal negozio mi rincorse per elencarmi mille giustificazioni, quasi per scusarsi per avermi mosso quel rimprovero.

Grazie don per questi efficacissimi suggerimenti quotidiani che mi aiutano a crescere e a capire che è un vero "peccato" perdere la messa quotidiana.

Forse con i dovuti allenamenti (anche nella fede) tutto risulterà più facile e spontaneo.

Ringrazio Dio che mi da la possibilità di vivere questi insegnamenti con amore per lui.

obbedienzasottomissionedocilità

inviato da Don Ambrogio Villa, inserito il 05/02/2006

PREGHIERA

42. Chiamati a volare

Giuliana Martirani

Parla all'io cuore, Signore.
"Ti sto parlando. Ma perché hai paura?
Eppure non avevi paura di incontrare illustri sconosciuti
che potevano portarti a sfiorare i pantani della vita!
E hai paura di me, l'unico che hai conosciuto meglio di tutti?
Mi hai conosciuto. Non è forse vero?
Puoi forse dire che conosci i pensieri, i sogni e i palpiti di qualcun altro, come conosci i miei?
Sono tanti anni che li racconto personalmente a te.
Quali sogni conosci meglio dei miei?
Ti ho conosciuto, chi ti conosce meglio di me?
Forse qualcuno ha saputo intravedere i tuoi talenti anche quando non si vedevano,
soffocati com'erano da mille croste?
Forse qualcuno ha puntato su di te come ho fatto io, con determinazione e sicurezza?
Io sapevo di te quando tu neanche ti supponevi.
E allora, se io conosco così bene te e tu così bene me, perché hai paura?
Sono forse un fantasma?
Ti ha fatto compagnia un fantasma durante le notti di paura e solitudine?
E' forse un fantasma quello che, con le mani della provvidenza, ti ha mandato cibo, casa e vestiti per te e i tuoi figli?
Tu dici: - Può essere fantasia, autosuggestione tutto ciò?
E se fosse tutto una follia? -
Io ti rispondo: E' forse una follia andare insieme sul monte della felicità,
o era una follia affidarsi ciecamente a gente più cieca di te?
E' forse una follia la dimensione dello spirito sulla quale voglio farti volare,
o non è forse più follia restare terra terra quando invece il Padre nostro
ci ha fatto giganti spirituali con ali per volare?
Non aver paura, non è una follia. Solo resta tranquillo, seguimi, attaccati alle mie ali
e comincia a volare con me.
Quando ti vedrò sicuro nel volo, solo allora ti lascerò volare da solo!
Ma dovrai volare da solo, perché non posso fare la balia per sempre.
Devi diventare adulto e aiutarmi perché è per diffondere l'amore
che mi sono fatto conoscere da te, è per essere amato e per far conoscere agli altri,
attraverso il rapporto d'amore mio e tuo, che l'amore di Dio è una seria e concreta.
Perché vedano e, vedendo, ne abbiano voglia anche loro.
Per questo mi sono fatto conoscere da te".

rapporto con Dioconversioneevangelizzazionetestimonianzamissionecrescitainteriorità

inviato da Leo, inserito il 10/10/2005

RACCONTO

43. I monaci e il secchio   3

Paulo Coelho, I racconti del maktub

Uno dei monaci del monastero di Sceta commise una grave mancanza, e così fu chiamato l'eremita più saggio perché potesse giudicarla. L'eremita si rifiutò, ma i monaci insistettero tanto che lui finì per andare. Prima, però, prese un secchio e lo forò in vari punti. Poi, lo riempì di sabbia e s'incamminò verso il convento. Il superiore, vedendolo entrare, gli domandò che cosa fosse.

«Sono venuto a giudicare il mio prossimo - disse l'eremita -. I miei peccati stanno scorrendo dietro di me, come scorre la sabbia di questo secchio. Ma, siccome non mi guardo alle spalle e non mi rendo conto dei miei stessi peccati, sono stato chiamato a giudicare il mio prossimo!»

I monaci allora rinunciarono alla punizione all'istante.

peccatoperdonomisericordianon giudicaregiudizio

5.0/5 (3 voti)

inviato da Luca Peyron, inserito il 01/07/2005

PREGHIERA

44. Gesù l'unico amico

S. Claudio La Colombière

Gesù, sei tu, il solo e vero amico.
Tu non solo partecipi a ogni mia sofferenza, ma la prendi addirittura su di te e conosci il segreto per mutarmela in gioia.
Tu mi ascolti con bontà e quando ti racconto le mie amarezze non manchi di addolcirle.
Ti trovo dappertutto, non ti allontani mai e se sono costretto a cambiare residenza, ti trovo dovunque io vada.
Non soffri la noia nell'ascoltarmi; non ti stanchi mai di farmi del bene.
Se ti amo, sono sicuro di essere riamato; non hai bisogno dei miei beni, né ti impoverisci a darmi i tuoi.
Anche se sono un pover'uomo, nessuno (nobile, intelligente o santo che sia) potrà rubarmi la tua amicizia.
La stessa morte, che divide tutti gli amici, mi riunirà a te.
Tutte le avversità dell'età o del caso, non riusciranno mai ad allontanarmi da te;
Anzi al rovescio, non godrò mai tanto pienamente della tua presenza e tu non mi sarai mai tanto vicino, quanto il momento, nel quale tutto sembrerà cospirare contro di me.
Morendo, si resuscita alla vita.

Gesùamiciziarapporto con Dio

inviato da Anna Lollo, inserito il 07/01/2005

RACCONTO

45. La bilancia   2

Racconto breve di Kociss Fava

Sognai che non ero più. Avendo concluso i miei giorni su questa terra, mi trovavo tra le soffici nubi del cielo. Appena gli occhi si furono abituati alla luce accecante e bianchissima, vidi una lunga fila di persone davanti a me. Me l'aspettavo: tutti in coda, anche in attesa del giudizio!

Man mano che avanzavo, cominciai a intravedere una figura barbuta. L'espressione era mite, eppure le rughe che solcavano l'ampia fronte, gli conferivano un aspetto autoritario. Appese alla candida tunica un mazzo di grosse chiavi dorate; in mano reggeva una bilancia. Allora era tutto vero!

Per ogni anima che gli si presentava davanti, vidi che annotava qualcosa su una pergamena. In breve fu quasi il mio turno. Deciso a non farmi cogliere impreparato, ripercorsi la mia vita, da cima a fondo ricordando tutte le colpe commesse, perfino le più insignificanti marachelle compiute da bambino. Toccò a me: timidamente mi avvicinai, mentre il giudice protendeva la bilancia nella mia direzione.

Stavo per cominciare il resoconto dei miei peccati, ma quale enorme sorpresa mi colse, quando lo sentii chiedere:
"Figliolo, quanto hai amato?".

giudiziovita eternaamoreparadiso

5.0/5 (1 voto)

inviato da Kociss Fava, inserito il 08/12/2004

RACCONTO

46. Se i peccati... fossero pietre   1

Due donne si recarono da un saggio, che aveva fama di santo, per chiedere qualche consiglio sulla vita spirituale. Una pensava di essere una grande peccatrice. Nei primi anni del suo matrimonio aveva tradito la fiducia del marito. Non riusciva a dimenticare quella colpa, anche se poi si era sempre comportata in modo irreprensibile, e continuava a torturarsi per il rimorso. La seconda invece, che era sempre vissuta nel rispetto delle leggi, si sentiva perfettamente innocente e in pace con se stessa. Il saggio si fece raccontare la vita di tutte e due.

La prima raccontò tra le lacrime la sua grossa colpa. Diceva, singhiozzando, che per lei non poteva esserci perdono, perché troppo grande era il suo peccato. La seconda disse che non aveva particolari peccati da confessare.

Il sant'uomo si rivolse alla prima: «Figliola, vai a cercare una pietra, la più pesante e grossa che riesci a sollevare e portamela qui». Poi, rivolto alla seconda: «E tu, portami tante pietre quante riesci a tenerne in grembo, ma che siano piccole».

Le due donne sì affrettarono a eseguire l'ordine del saggio. La prima tornò con una grossa pietra, la seconda con un'enorme borsa piena di piccoli sassi. Il saggio guardò le pietre e poi disse: «Ora dovete fare un'altra cosa: riportate le pietre dove le avete prese, ma badate bene di rimettere ognuna di esse nel posto esatto dove l'avete presa. Poi tornate da me».

Pazientemente, le due donne cercarono di eseguire l'ordine del saggio. La prima trovò facilmente il punto dove aveva preso la pietrona e la rimise a posto. La seconda invece girava invano, cercando di ricordarsi dove aveva raccattato le piccole pietre della sua borsa. Era chiaramente un compito impossibile e tornò mortificata dal saggio con tutte le sue pietre.

Il sant'uomo sorrise e disse: «Succede la stessa cosa con i peccati. Tu, - disse rivolto alla prima donna - hai facilmente rimesso a posto la tua pietra perché sapevi dove l'avevi presa: hai riconosciuto il tuo peccato, hai ascoltato umilmente i rimproveri della gente e della tua coscienza, e hai riparato grazie al tuo pentimento. Tu, invece, - disse alla seconda - non sai dove hai preso tutte le tue pietre, come non hai saputo accorgerti dei tuoi piccoli peccati. Magari hai condannato le grosse colpe degli altri e sei rimasta invischiata nelle tue, perché non hai saputo vederle».

peccatopentimentoconfessioneperdono di Diomisericordiacoscienzaumiltà

4.0/5 (2 voti)

inviato da Samiland80, inserito il 08/12/2004

RACCONTO

47. Racconto di Natale

Dino Buzzati

Tetro e ogivale è l'antico palazzo dei vescovi, stillante salnitro dai muri, rimanerci è un supplizio nelle notti d'inverno. E l'adiacente cattedrale è immensa, a girarla tutta non basta una vita, e c'è un tale intrico di cappelle e sacrestie che, dopo secoli di abbandono, ne sono rimaste alcune pressoché inesplorate. Che farà la sera di Natale - ci si domanda - lo scarno arcivescovo tutto solo, mentre la città è in festa? Come potrà vincere la malinconia? Tutti hanno una consolazione: il bimbo ha il treno e pinocchio, la sorellina ha la bambola, la mamma ha i figli intorno a sé, il malato una nuova speranza, il vecchio scapolo il compagno di dissipazioni, i1 carcerato la voce di un altro dalla cella vicina. Come farà l'arcivescovo? Sorrideva lo zelante don Valentino, segretario di sua eccellenza, udendo la gente parlare così. L'arcivescovo ha Dio, la sera di Natale. Inginocchiato solo soletto nel mezzo della cattedrale gelida e deserta a prima vista potrebbe quasi far pena, e invece se si sapesse! Solo soletto non è, non ha neanche freddo, né si sente abbandonato. Nella sera di Natale Dio dilaga nel tempio, per l'arcivescovo, le navate ne rigurgitano letteralmente, al punto che le porte stentano a chiudersi; e, pur mancando le stufe, fa così caldo che le vecchie bisce bianche si risvegliano nei sepolcri degli storici abati e salgono dagli sfiatatoi dei sotterranei sporgendo gentilmente la testa dalle balaustre dei confessionali.

Così, quella sera il Duomo; traboccante di Dio. E benché sapesse che non gli competeva, don Valentino si tratteneva perfino troppo volentieri a disporre l'inginocchiatoio del presule. Altro che alberi, tacchini e vino spumante. Questa, una serata di Natale. Senonché in mezzo a questi pensieri, udì battere a una porta. "Chi bussa alle porte del Duomo" si chiese don Valentino "la sera di Natale? Non hanno ancora pregato abbastanza? Che smania li ha presi?" Pur dicendosi così andò ad aprire e con una folata divento entrò un poverello in cenci.

"Che quantità di Dio!" esclamò sorridendo costui guardandosi intorno, "Che bellezza! Lo si sente perfino di fuori. Monsignore, non me ne potrebbe lasciare un pochino? Pensi, è la sera di Natale".

"E' di sua eccellenza l'arcivescovo" rispose il prete. "Serve a lui, fra un paio d'ore. Sua eccellenza fa già la vita di un santo, non pretenderai mica che adesso rinunci anche a Dio! E poi io non sono mai stato monsignore."

"Neanche un pochino, reverendo? Ce n'è tanto! Sua eccellenza non se ne accorgerebbe nemmeno!"

"Ti ho detto di no... Puoi andare... Il Duomo è chiuso al pubblico" e congedò il poverello con un biglietto da cinque lire.

Ma come il disgraziato uscì dalla chiesa, nello stesso istante Dio disparve. Sgomento, don Valentino si guardava intorno, scrutando le volte tenebrose: Dio non c'era neppure lassù. Lo spettacoloso apparato di colonne, statue, baldacchini, altari, catafalchi, candelabri, panneggi, di solito così misterioso e potente, era diventato all'improvviso inospitale e sinistro. E tra un paio d'ore l'arcivescovo sarebbe disceso.

Con orgasmo don Valentino socchiuse una delle porte esterne, guardò nella piazza. Niente. Anche fuori, benché fosse Natale, non c'era traccia di Dio. Dalle mille finestre accese giungevano echi di risate, bicchieri infranti, musiche e perfino bestemmie. Non campane, non canti.

Don Valentino uscì nella notte, se n'andò per le strade profane, tra fragore di scatenati banchetti. Lui però sapeva l'indirizzo giusto. Quando entrò nella casa, la famiglia amica stava sedendosi a tavola. Tutti si guardavano benevolmente l'un l'altro e intorno ad essi c'era un poco di Dio.

"Buon Natale, reverendo" disse il capofamiglia. "Vuol favorire?"

"Ho fretta, amici" rispose lui. "Per una mia sbadataggine Iddio ha abbandonato il Duomo e sua eccellenza tra poco va a pregare. Non mi potete dare il vostro? Tanto, voi siete in compagnia, non ne avete un assoluto bisogno."

"Caro il mio don Valentino" fece il capofamiglia. "Lei dimentica, direi, che oggi è Natale. Proprio oggi i miei figli dovrebbero far a meno di Dio? Mi meraviglio, don Valentino."

E nell'attimo stesso che l'uomo diceva così Iddio sgusciò fuori dalla stanza, i sorrisi giocondi si spensero e il cappone arrosto sembrò sabbia tra i denti.

Via di nuovo allora, nella notte, lungo le strade deserte. Cammina cammina, don Valentino infine lo rivide. Era giunto alle porte della città e dinanzi a lui si stendeva nel buio, biancheggiando un poco per la neve, la grande campagna. Sopra i prati e i filari di gelsi, ondeggiava Dio, come aspettando. Don Valentino cadde in ginocchio.

"Ma che cosa fa', reverendo?" gli domandò un contadino. "Vuoi prendersi un malanno con questo freddo?"
"Guarda laggiù figliolo. Non vedi?"

Il contadino guardò senza stupore. "È nostro" disse. "Ogni Natale viene a benedire i nostri campi."

" Senti " disse il prete. "Non me ne potresti dare un poco? In città siamo rimasti senza, perfino le chiese sono vuote. Lasciamene un pochino che l'arcivescovo possa almeno fare un Natale decente."

"Ma neanche per idea, caro il mio reverendo! Chi sa che schifosi peccati avete fatto nella vostra città. Colpa vostra. Arrangiatevi."

"Si è peccato, sicuro. E chi non pecca? Ma puoi salvare molte anime figliolo, solo che tu mi dica di sì."

"Ne ho abbastanza di salvare la mia!" ridacchiò il contadino, e nell'attimo stesso che lo diceva, Iddio si sollevò dai suoi campi e scomparve nel buio.

Andò ancora più lontano, cercando. Dio pareva farsi sempre più raro e chi ne possedeva un poco non voleva cederlo (ma nell'atto stesso che lui rispondeva di no, Dio scompariva, allontanandosi progressivamente).

Ecco quindi don Valentino ai limiti di una vastissima landa, e in fondo, proprio all'orizzonte, risplendeva dolcemente Dio come una nube oblunga. Il pretino si gettò in ginocchio nella neve. "Aspettami, o Signore " supplicava "per colpa mia l'arcivescovo è rimasto solo, e stasera è Natale!"

Aveva i piedi gelati, si incamminò nella nebbia, affondava fino al ginocchio, ogni tanto stramazzava lungo disteso. Quanto avrebbe resistito?

Finché udì un coro disteso e patetico, voci d'angelo, un raggio di luce filtrava nella nebbia. Aprì una porticina di legno: era una grandissima chiesa e nel mezzo, tra pochi lumini, un prete stava pregando. E la chiesa era piena di paradiso.

"Fratello" gemette don Valentino, al limite delle forze, irto di ghiaccioli "abbi pietà di me. Il mio arcivescovo per colpa mia è rimasto solo e ha bisogno di Dio. Dammene un poco, ti prego."

Lentamente si voltò colui che stava pregando. E don Valentino, riconoscendolo, si fece, se era possibile, ancora più pallido.

"Buon Natale a te, don Valentino" esclamò l'arcivescovo facendosi incontro, tutto recinto di Dio. "Benedetto ragazzo, ma dove ti eri cacciato? Si può sapere che cosa sei andato a cercar fuori in questa notte da lupi?"

natalecondivisionedonoamore

inviato da Manuel Toniato, inserito il 27/07/2004

RACCONTO

48. Ho fatto colazione con Dio   3

Traduzione dallo spagnolo di un racconto di Te-La Gitana

Un bambino voleva conoscere Dio. Sapeva che era un lungo viaggio arrivare dove abita Dio, ed è per questo che un giorno mise dentro al suo cestino dei dolci, marmellata e bibite e cominciò la sua ricerca.

Dopo aver camminato per trecento metri circa, vide una donna anziana seduta su una panchina nel parco. Era sola e stava osservando alcune colombe. Il bambino gli si sedette vicino ed aprì il suo cestino. Stava per bere la sua bibita quando gli sembrò che la vecchietta avesse fame, ed allora le offrì uno dei suoi dolci.

La vecchietta riconoscente accettò e sorrise al bambino. Il suo sorriso era molto bello, tanto bello che il bambino gli offrì un altro dolce per vedere di nuovo questo suo sorriso.

Il bambino era incantato! Si fermò molto tempo mangiando e sorridendo, senza che nessuno dei due dicesse una sola parola. Al tramonto il bambino, stanco, si alzò per andarsene, però prima si volse indietro, corse verso la vecchietta e la abbracciò. Ella, dopo averlo abbracciato, gli dette il più bel sorriso della sua vita.

Quando il bambino arrivò a casa sua ed aprì la porta, la sua mamma fu sorpresa nel vedere la sua faccia piena di felicità, e gli chiese: "Figlio, cosa hai fatto che sei tanto felice?". Il bambino rispose: "Oggi ho fatto colazione con Dio!".

E prima che sua mamma gli dicesse qualche cosa aggiunse: "E sai cosa, ha il sorriso più bello che ho mai visto!".

Anche la vecchietta arrivò a casa raggiante di felicità. Suo figlio restò sorpreso per l'espressione di pace stampata sul suo volto e le domandò: "Mamma, cosa hai fatto oggi che ti ha reso tanto felice?". La vecchietta rispose: "Oggi ho fatto colazione con Dio, nel parco!". E prima che suo figlio rispondesse, aggiunse: "E sai? E' più giovane di quel che pensavo!".

rapporto con Diovedere Dioricerca di Dio

inviato da Cecilia Leone, inserito il 16/12/2003

RACCONTO

49. L'umorista davanti a Dio   3

Pino Pellegrino, Racconti per il volo dell'anima

Una volta un uomo, un tipo sempre allegro e sorridente, fece un sogno: gli sembrò d'esser morto e di trovarsi davanti al tribunale di Dio. Era quasi disperato perché aveva grosse marachelle sulla coscienza.

Sentiva che il Giudice quando sceglieva uno tra i beati gli diceva: «Avevo fame e mi hai dato da mangiare; avevo freddo e mi hai coperto... vieni a godere nel mio regno!»

L'uomo tremava tutto, perché non si ricordava d'aver fatto nessuna opera buona.

Ma quando venne il suo turno vide che il Signore lo guardava sorridendo.
«Che cosa mai avrò fatto di bene?» si domandava tra sé.

Il Giudice esclamò: «Ero triste e tu con il tuo umorismo mi hai consolato; ero malinconico e tu con il tuo sorriso mi hai rasserenato: entra nella gioia del mio paradiso!»

umorismogiudizio universaleparadisovita eternagioiasorriso

4.7/5 (3 voti)

inviato da Cecilia Leone, inserito il 18/10/2003

TESTO

50. Il filo del perdono   1

Racconto rabbinico

Ognuno è legato a Dio da una corda. Quando commetti una colpa, la corda si spezza. Ma appena ti penti, Dio fa subito un nodo e la corda si accorcia: ti avvicini un poco di più a lui. Così di colpa in colpa, di pentimento in pentimento, di nodo in nodo, ci avviciniamo sempre di più, e si arriva al cuore di Dio! Tutto è grazia.

peccatomisericordia di Dioperdono di Diopentimentoconversionerapporto con Dio

3.7/5 (3 voti)

inviato da Eleonora Polo, inserito il 28/06/2003

ESPERIENZA

51. La bella signora

Bernadette Soubirous, Racconto dell'apparizione della Madonna di Lourdes

La prima volta che andai alla Grotta, vi andai per raccogliere legna con due altre bimbe. Quando arrivammo al mulino, tutte insieme seguimmo il corso del canale e ci trovammo davanti alla Grotta. Le mie due compagne, non potendo più proseguire il cammino, attraversarono l'acqua che si trovava di fronte alla Grotta ed io rimasi sola dall'altra parte; domandai loro se volevano aiutarmi a gettare qualche pietra nel canale per poter passare senza levarmi le calze, ma esse mi dissero di fare come loro.

Allora andai un po' più lontano per vedere se potevo passare a piedi asciutti, ma invano e mi decisi a togliermi le calze. Mi ero appena levata la prima calza, che udii un rumore, come un soffio di vento impetuoso. Volsi lo sguardo verso la prateria gli alberi immobili e molto calmi.

"Mi sarò ingannata", pensai, e mi accinsi a togliermi l'altra calza. Ma udii di nuovo il medesimo rumore; alzai il capo verso la Grotta e vidi una signora vestita di bianco, che benevolmente mi guardava.

Rimasi sorpresa e sbigottita e, credendola un'illusione, mi stropicciai gli occhi, ma invano. Io vedevo sempre la medesima Signora. Allora cercai nelle tasche e ne trassi il mio rosario. Volli farmi il segno della croce, ma la mia mano non giunse alla fronte e ne rimasi anche più sgomenta.

La Signora prese in mano il rosario, che pendeva al suo braccio, e si fece il segno della croce. Io tentai di farlo per la seconda volta, vi riuscii e subito in me scomparve ogni sentimento di paura. Mi inginocchiai, ed alla presenza della Bella Signora, recitai il rosario. Quando ebbi finito, Ella mi accennò di andarle vicino ma io non osai, ed ella disparve. Allora mi levai l'altra calza, attraversai l'acqua di fronte la Grotta e raggiunsi le compagne.

rosarioMariaapparizioneLourdes

inviato da Anna Lianza, inserito il 15/04/2003

RACCONTO

52. Il seme piccolissimo   1

Josè Real Navarro e Maria Carla Mantovani, C'era una volta... al catechismo, Elledici

Durante una forte nevicata, un viandante arrivò a un piccolo villaggio. Stavano tutti tappati in casa, per passare quel difficile inverno. Tutti i raccolti erano andati perduti e il bestiame era morto per una malattia. La fame stava per uccidere tutti. Nessuno sarebbe sopravvissuto a quell'inverno.

Il viandante bussò a una porta per chiedere ospitalità e passare la notte. Lo fecero entrare e gli offrirono un posto per dormire. Il mattino seguente, prima di riprendere il cammino, il viandante volle ringraziare. Cercò nel suo zainetto, ne estrasse una borsetta di tela e la consegnò a loro dicendo:

- Qui dentro c'è un seme. Cresce solo d'inverno e porta molti frutti. Se dividerete questi frutti con tutti gli abitanti del villaggio, non patirete mai più la fame. Se non farete così, i frutti diventeranno acidi e morirete di fame.

Il viandante partì. Aprirono la borsetta e vi trovarono un seme piccolissimo. Sorrisero al vederlo e, pensando che quell'uomo fosse pazzo, lo gettarono nella spazzatura. Ma la figlia più piccola della famiglia lo raccolse, uscì di casa, fece un buco nella neve e lo piantò.

Durante la notte, da quel seme spuntò una pianta che cominciò a crescere, a crescere. Diventò un albero grandissimo, più alto di tutte le case del villaggio. E i suoi rami erano carichi di frutti di diversi colori, grandezza e forma.

Il giorno dopo, quando videro quell'albero enorme davanti a casa, non potevano credere ai loro occhi. La bambina raccontò quello che aveva fatto, ma non le credettero. Colsero uno dei frutti e lo assaggiarono. In vita loro non avevano mai assaggiato niente di simile. Era un cibo degno di un re. Raccolsero rapidamente tutti i frutti perché nessuno li rubasse. Con essi non sarebbero morti di fame durante l'inverno.

Però la bambina ricordò quello che aveva detto il viandante. Dapprima non vi fecero caso, ma poi pensarono che, fosse vero o no quello che aveva detto, non era bello che i vicini morissero di fame mentre loro avevano da mangiare. E senza esitare, condivisero i frutti tra gli abitanti del villaggio.

Quando li mangiarono, videro che ogni frutto aveva un seme piccolissimo. Tutti lo piantarono davanti alla propria casa. E il giorno dopo il villaggio era pieno di enormi alberi fruttiferi. Passata la sorpresa, tutti furono molto riconoscenti verso quella famiglia che aveva condiviso con loro quei frutti. Grazie a loro, non morirono di fame quell'inverno, e da allora non cessarono di condividere i frutti che avevano. E proprio come aveva detto il viandante, non soffrirono mai più la fame.

solidarietàcondivisionericchezzapovertà

inviato da Patrizia Traverso, inserito il 09/02/2003

TESTO

53. E Giuseppe raccontò

Franco Signoracci, La notte più bella

Ricordo bene quella notte, quando l'angelo entrò nel mio sogno.

Era l'ora più buia, quando il giorno trascorso è già dimenticato e l'alba nuova è ancora lontana. Io dormivo profondamente e nei miei sogni c'erano tante storie: immagini strane si mischiavano e si inseguivano tra di loro, come spesso accade. Poi, ad un tratto, anche nei miei sogni ci fu silenzio e buio, e apparve un puntino luminoso che diventava sempre più grande, come la lampada di una barca quando si avvicina di notte alla riva.

Capii subito che quello non era un sogno come gli altri: quella luce era un angelo! E l'angelo parlò.

E mi raccontò di Maria, del bambino, delle difficoltà che avremmo incontrato: "Non temere", mi disse, "starò sempre con voi!".

Mi svegliai di colpo: non ero spaventato, ma quella apparizione mi aveva turbato. Sentivo caldo nel chiuso della mia stanza; dovevo uscire a prendere aria, a pensare un poco a quelle parole. Infilai i sandali e andai a sedermi su di un sasso, poco lontano dalla casa, in una posizione elevata.

Sotto di me c'era tutto il paese addormentato. Sopra di me il cielo stellato e la luna, che tramontava all'orizzonte.

Pensavo di essere solo, poi mi accorsi che non lontano da me c'era un gregge di pecore, custodito da due pastori: i due uomini vegliavano accanto alle braci di un fuoco quasi spento. Poi, tra le case del paese, si aprirono alcune porte e vidi uomini uscire in silenzio: erano i pescatori, che partivano a notte fonda per andare al lago di Tiberiade. Vidi anche un altro uomo uscire dal villaggio, conduceva due asini che avevano anfore legate ai fianchi: andava a prendere l'acqua. Infine, mentre il cielo a oriente si faceva più chiaro, vidi uscire i primi contadini. "Ecco", pensai tra me, "per tutta questa gente, per tutti noi verrà il bambino!" E sentii una grande pace nel cuore.

NatalesognoGiuseppeincarnazione

inviato da Anna Barbi, inserito il 29/01/2003

RACCONTO

54. Eliogabalo e matusalemme   1

Bruno Ferrero, Novena di Natale

Il piccolo e zoppo Matusalemme ed Eliogabalo (detto Gabalo) erano due ragazzi poveri della città. Avevano sempre vissuto, dalla nascita, nel collegio dei ragazzi poveri. "Sai che domani è Natale?" chiese Gabalo, un giorno che tutti e due stavano spalando la neve dall'ingresso dell'istituto. "Ah, davvero?" rispose Matusalemme. "Spero proprio che la signora Pynchurn non se ne accorga. Diventa particolarmente antipatica nei giorni di festa!". L'antipatica signora Pynchum era la direttrice dell'istituto dei poveri, ed era temuta da tutti.

Matusalemme proseguì: "Gabalo, tu credi che Babbo Natale ci sia davvero?". "Certo che c'è". "E allora perché non viene mai qui alla casa dei poveri?". "Beh", rispose Gabalo, "noi stiamo in una strada tutte curve, lo sai no? Forse Babbo Natale non riesce a trovarla". Gabalo cercava sempre di mostrare a Matusalemme il lato bello delle cose, anche quando non c'era!

Proprio in quel momento un'automobile investì un povero cane che cadde riverso sulla neve. Gabalo corse subito in suo aiuto e vide che aveva una zampa rotta. Fece una stecca e fasciò strettamente la zampa del cane. Gabalo lesse sul collare che il cane apparteneva al dottor Carruthers, un medico famoso nella città. Lo prese in braccio e si avviò verso la casa dei dottore.

Il dottore aveva una gran barba bianca lo accolse con un sorriso e gli chiese chi aveva immobilizzato e steccato così bene la zampa dei cane.

"Perbacco, io, signore", rispose Gabalo e gli raccontò di tutti gli altri animali ammalati che aveva guarito. "Sei un ragazzo davvero in gamba!" gli disse alla fine il dottor Carruthers guardandolo negli occhi. "Ti piacerebbe venire a vivere da me e studiare per diventare dottore?".

Gabalo rimase senza parole. Andare lontano dalla signora Pynchum e non essere più uno "della Casa dei Poveri", diventare un dottore! "Oh, oh s-s-sì, signore! Oh...". Improvvisamente la gioia svanì dai suoi occhi. Se Gabalo se ne andava, chi si sarebbe preso cura del piccolo e zoppo Matusalemme? "Io... io vi ringrazio, signore" disse. "Ma non posso venire, signore! E prima che il dottore scorgesse le sue lacrime corse fuori dalla casa".

Quella sera, il dottor Carruthers si presentò all'istituto con le braccia cariche di pacchetti. Quando Matusalemme lo vide cominciò a gridare: "E' arrivato Babbo Natale!". Il dottore scoppiò a ridere e, mentre consegnava al ragazzo un pacchetto dai vivaci colori, notò che zoppicava e gli fece alcune domande. Dopo un attimo, il dottor Carruthers disse: "Conosco un ospedale in città dove potrebbero guarirti. Hai parenti o amici?". "Oh, sì", rispose subito Matusalemme, "ho Gabalo!". Il dottore lanciò uno sguardo penetrante a Gabalo. "E' per lui che non hai voluto venire a stare da me, figliuolo". "Beh, io... io sono tutto quello che lui possiede", rispose Gabalo. Il dottore, profondamente commosso, disse: "E se prendessi anche Matusalemme con noi?".

Questa volta a Gabalo non importò che tutti vedessero le sue lacrime, e Matusalemme si mise a battere le mani dalla gioia. Naturalmente non sapeva che sarebbe guarito e che un giorno Gabalo sarebbe diventato un chirurgo famoso. Tutto quello che sapeva era che Babbo Natale aveva trovato la strada per la casa dei poveri e che lo portava via con Gabalo.

Natalepovertàamiciziasolidarietàamore

inviato da Anna Barbi, inserito il 11/12/2002

TESTO

55. Imparare la tristezza del Natale   1

Alessandro Pronzato, Vangeli scomodi

Tre righe in tutto. Per raccontarci l'avvenimento più straordinario della storia del mondo, Luca impiega tre righe. Un Dio che viene a "piantare la propria tenda in mezzo a noi". E l'evangelista ce lo riferisce in tre righe. Probabilmente la sua penna deve aver lottato parecchio per resistere alla tentazione di dire di più.

Tre righe in cima alla pagina. Quindi tutto un foglio bianco. E noi ci precipitiamo a imbrattarlo con le nostre parole.

Può sembrare un'idea bizzarra quella di aprire la serie dei "Vangeli scomodi" con il racconto della natività, con una pagina che pare autorizzare esclusivamente la tenerezza, la dolcezza e i pensieri più consolanti.

Eppure proprio queste tre righe di Luca, se riusciamo a spazzare via le nebbie di un equivoco sentimentalismo, risultano terribilmente scomode. Infatti costituiscono una spietata condanna per il nostro Natale gonfio di retorica, per il nostro Natale zeppo di cattiva poesia, per il nostro Natale ricco di cianfrusaglie multicolori e commozione a buon mercato.

Tre righe. E noi, invece, abbiamo imbastito un copione mastodontico e interminabile, imbottito di pacchianerie.
Gli abbiamo rovesciato sopra tonnellate di sentimentalismi.

Il silenzio è l'elemento naturale per la discesa della Parola sulla terra.

E noi abbiamo pensato di rompere quel silenzio che ci impacciava con gli scoppi di milioni di tappi champagne.

nataleincarnazione

5.0/5 (1 voto)

inviato da Foggi Silvana, inserito il 11/12/2002

ESPERIENZA

56. Il racconto di Faith

Silvia Pillin, SCF Caritas Concordia-Pordenone

Faith ha 17 anni. È una bella ragazza. Alta. Occhi scuri. Fisico tonico e proporzionato messo in evidenza da vestiti attillati e scarpe col tacco alto.

Faith parla inglese. È qui in Italia da poche settimane. È venuta per studiare. A casa ha lasciato sua madre e i fratelli. Il padre è morto. E lo dice con un tale distacco che sembra che parli del padre di qualcun altro.

Faith ha passato le sue prime settimane a Torino. Poi ha preso un treno. Ha aspettato cinque o sei ore ed è arrivata qui, in questa stazione ferroviaria. Stanca, spaventata, affamata.

Faith è nigeriana. Ha lasciato il suo paese insieme ad altre ragazze perché le avevano promesso l'Italia.

Le avevano promesso che avrebbe terminato gli studi, affinato le sue doti atletiche e guadagnato molti soldi.

Faith ha lasciato la Nigeria con un futuro migliore negli occhi. Faith ha lasciato la Nigeria per venire a prendere il suo sogno nel Paese dei Balocchi.
E mentre parla attraversiamo la città in autobus.

Faith è invitata a pranzo a casa mia. Saliamo. La faccio accomodare in cucina. Mi chiede se si può togliere le scarpe col tacco. Evidentemente le stanno strette. Le porgo le mie ciabatte. Le infila, poi appoggia lo zaino accanto a sé. Non se ne vuole separare.
Probabilmente lì dentro c'è tutta la sua vita, penso.
Le offro dell'acqua. Beve.
Poi inizia a raccontare davvero.

"A Torino hanno portato me e delle altre ragazze in un appartamento. Qui, la prima sera, le stesse persone che ci avevano regalato il sogno di un futuro migliore ci hanno fatto cambiare d'abito e ci hanno obbligato ad andare in strada. Mi sono prostituita per due settimane. Venivo picchiata ogni sera. Sostenevano che non guadagnavo abbastanza. Io stavo male. Avevo dei forti mal di pancia. Loro mi obbligavano a prostituirmi. Poi mi picchiavano. Mi picchiavano. Mi picchiavano. Alla fine sono scappata, ma non potevo certo rimanere a Torino. Se mi avessero trovato sarebbero stati capaci di uccidermi".

Si interrompe per qualche secondo. Si guarda attorno. Non sta piangendo. Le chiedo se è stanca. Accenna un sì con la testa. La porto sul divano. Le offro una coperta. Le prometto che tra una mezzora sarà pronto il pranzo. E mentre lei si avvolge nella coperta io torno in cucina. Metto a bollire dell'acqua per la pasta e apparecchio la tavola e mi chiedo com'è possibile che una ragazza di soli diciassette anni possa essere trattata come un oggetto, venduta e barattata e sfruttata e picchiata. Mi chiedo chi può commettere un'azione del genere e chi con il silenzio asseconda quell'orrore. E nel frattempo due bei piatti fumanti di spaghetti con il pomodoro aspettano le nostre bocche affamate.

Così vado da Faith, le dico di venire in cucina. La osservo, cercando di essere il più discreta possibile, mentre mangia avidamente. Poi alza la testa. Mi sorride. Le sorrido. Riprende a raccontare.

"A Torino, mentre stavo piangendo seduta su una panchina, un uomo mi ha chiesto il perché. Ho cercato di spiegarglielo. Mi ha dato un numero di telefono".

Le chiedo se ha provato a chiamarlo. Dice di no. Poi infila la mano in tasca e ne estrae un libricino. Lo sfoglia fino a trovare un pezzo di carta ripiegato che mi porge. Guardo il numero, secondo quello che leggo sul foglietto si riferisce ad un organismo ministeriale che si occupa delle donne vittime della tratta. Le restituisco quel piccolo ritaglio di speranza e mentre chiamo l'assistente sociale mi accorgo che il libricino è un Vangelo.

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inviato da Federico Bernardi, inserito il 25/11/2002

TESTO

57. Guarda ogni cosa come se fosse la prima volta   1

Paulo Coelho, I racconti del maktub

Monaci Zen, quando desiderano meditare, siedono davanti ad una roccia e dicono:
«Ora aspetterò che questa roccia cresca un po'.»

Dice il maestro:
«Ogni cosa intorno a noi è in continuo cambiamento. Ogni giorno, il sole splende su un nuovo mondo. Ciò che chiamiamo routine è piena di nuovi propositi e opportunità. Ma noi non percepiamo che ogni giorno è differente dagli altri. Oggi, da qualche parte, un tesoro ti aspetta. Può essere un breve sorriso, può essere una grande vittoria - non importa. Niente è noioso, perché tutto cambia costantemente. Il tedio non fa parte del mondo. Il poeta T. S. Eliot, scrisse: "Cammina tante strade, ritorna alla tua casa, e vedi ogni cosa come se fosse la prima voltà".»

novitàsemplicitàquotidianitàstupore

3.0/5 (1 voto)

inviato da Anna Lianza, inserito il 25/11/2002

TESTO

58. L'invito di Dio

Paulo Coelho, I racconti del maktub

Santa Teresa d'Avila dice: «Ricorda: il Signore invitò tutti noi, e - dal momento che Egli è pura verità - non possiamo dubitare del suo invito. Egli disse: "Vengano a me tutti coloro che sono assetati, ed Io gli darò da bere". Se l'invito non fosse stato per ciascuno di noi, il Signore avrebbe detto: "Vengano a me tutti quelli che lo desiderano, perché non avete niente da perdere. Ma darò da bere solo a coloro che sono preparati". Egli non impone condizioni. E' sufficiente camminare e desiderare, e tutti riceveranno l'Acqua della Vita del Suo Amore».

rapporto con Diopreghieraamore di Dio

inviato da Anna Lianza, inserito il 25/11/2002

TESTO

59. Dio è nella vita e la vita è in Dio

Paulo Coelho, I racconti del maktub

Dice il maestro: "Da una parte, sappiamo che è importante la ricerca di Dio. Dall'altra, la vita crea una netta distanza tra Lui e noi. Ci sentiamo ignorati dalla Divinità, o siamo preoccupati per i nostri problemi quotidiani. Questo crea un senso di colpa: sia che stiamo rinunciando in qualche modo alla vita a causa di Dio, o che sentiamo di rinunciare troppo a Dio a causa della vita. Questo apparente conflitto è fantasia: Dio è nella vita e la vita è in Dio. Uno deve essere solo attento a questo per poter capire meglio il destino. Se siamo capaci di penetrare nella santa armonia della nostra quotidianità, saremo sempre sul sentiero giusto, e completeremo i nostri obiettivi".

quotidianitàrapporto con Dio

inviato da Anna Lianza, inserito il 25/11/2002

TESTO

60. L'amore perdona   1

Paulo Coelho, I racconti del maktub

All'Ultima Cena, Gesù accusò - con la stessa gravità e le medesime parole - due dei suoi apostoli. Entrambi avevano commesso i crimini predetti da Gesù. Giuda Iscariota nascose i suoi sentimenti e condannò se stesso. Pietro anche nascose i suoi sentimenti, dopo aver rinnegato tre volte tutto ciò in cui aveva creduto. Ma nel momento decisivo, Pietro capì il vero significato del messaggio di Gesù. Chiese perdono e andò avanti, umiliato. Avrebbe potuto scegliere il suicidio, invece affrontò gli altri apostoli e dovrebbe aver detto: "D'accordo, raccontate i miei errori fino a che esisterà il genere umano. Ma lasciatemi correggerli". Pietro imparò che l'Amore perdona. Giuda non imparò nulla.

GiudaPietroperdonoconversioneamoreultima cenaamore di Diogiovedì santo

5.0/5 (1 voto)

inviato da Anna Lianza, inserito il 25/11/2002

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