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TESTO Due notti, la dimora e il catino

don Angelo Casati  

III domenica T. Pasqua (Anno B) (14/04/2024)

Vangelo: Gv 14,1-11a Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. 2Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? 3Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. 4E del luogo dove io vado, conoscete la via».

5Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». 6Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. 7Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».

8Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». 9Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? 10Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. 11Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.

Due notti: la notte in carcere di Paolo e Sila, in una città della Macedonia; la notte di Gesù e i suoi discepoli, nella stanza al piano superiore, a Gerusalemme, poi fu cattura. Sempre notte, quando, al riverbero di lanterne, sono visi e occhi a sgusciare dal buio; e pensieri e gesti sembrano accendersi di emozione.

Gesù - lui un Rabbi che sorprendeva persino nelle ombre ciò che passava nel cuore - in quella cena addio, aveva avvistato turbamento negli occhi dei discepoli, li aveva visti come smarriti. Disse loro: “Non sia turbato il vostro cuore”. E come poteva non esserlo, se il primo ad avere un cuore turbato era proprio lui? E Giovanni lo annota pochi versetti prima:” Dette queste cose, Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: "In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà". Notte di tradimento e anche di rinnegamento. Aveva appena detto a Pietro: “Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non mi abbia rinnegato tre volte”.

E come non essere turbati? Tutto sembrava sgretolarsi. Risucchiata, come in un vortice, l'avventura vissuta con quell'incredibile Maestro, prendeva forma ora nei discepoli l'ombra inquietante del distacco. E Gesù, con l'intento di lenire il turbamento, risponde con un'immagine, paradossalmente opposta a quella del distacco, l'immagine della “dimora”: “Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore...verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi”. Dimore nel futuro. Ma qui, adesso, nel frattempo? Il problema del frattempo. Ebbene, pochi versetti e Gesù evoca un'altra dimora, la dimora nel frattempo: “Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui”. E' bellissimo: l'amore costruisce dimore nel frattempo, nel tempo in cui non ci si vede. Ognuno di voi sa come queste non siano parole al vento, toccano la carne, la vita: quando vuoi bene a una persona, quella fa dimora dentro di te. Così Gesù. E non è un dimorare pallido, è sorgente di pensieri, di fiducia, di gesti, di consolazione. Così la dimora di Dio in noi.

Ma ora un breve cenno alle parole di Gesù in riposta a Filippo che gli chiede di mostrare il Padre. Gesù risponde: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre”. Non mi hai conosciuto? Eppure pochi minuti prima aveva svelato con un gesto inequivocabile chi era lui, il Signore e Maestro: si era cinto ai fianchi un asciugatoio, aveva preso un catino e nell'acqua aveva lavatoi piedi dei discepoli. Non l'avevano ancora conosciuto? Questo il suo segno di riconoscimento: riconosciuto come colui che solleva le stanchezze dell'umanità; e sono tante! E così - disse - sarebbero stati riconosciuti i suoi discepoli, come quelli del catino, questo il segno di riconoscimento: ”Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri»”.

Il Rabbi che ci lava i piedi. Così l'ho conosciuto. E così lo scoprirò quando arriverò a lui:

Deporrai la veste
cingerai l'asciugamano
ti chinerai nell'acqua
a lavare piedi
sporchi di sabbie e di strade.
E io vedrò i tuoi occhi

nell'acqua di un catino.

Così mi si apre una connessione, un azzardo di connessione, con la notte raccontata negli Atti degli apostoli. Qualcuno può rimanere preso dalla spettacolarità del miracolo: il terremoto che scardina il carcere. Io, molto più - lo confesso - preso, affascinato, dal clima di tenerezza che traspira dalla casa del carceriere. Paolo e Sila rinchiusi in un carcere nella notte, ceppi ai piedi, pregano; poi il terremoto che apre un varco; poi il carceriere turbato dalla previsione di punizioni dall'alto. E dal buio sgusciano chiarori di tenerezze. Paolo rincuora il carceriere. E lui, il carceriere? Ecco il gesto cui aveva invitato Gesù: lui, “discepolo prima del tempo” - sentite la bellezza - “li prese con sé, a quell'ora della notte, ne lavò le piaghe e subito fu battezzato lui con tutti i suoi; poi li fece salire in casa, apparecchiò la tavola e fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per avere creduto in Dio“.

Lavò le piaghe, fu battezzato, pensate l'immediatezza. E pensate la tortuosità e le lungaggini di certe nostre procedure per il battesimo degli adulti. Dal catino al battesimo.

Una cara amica prima di Pasqua mi ha fatto dono di questa preghiera, sono parole di una “mistica della strada” del nostro tempo, Madeleine Delbrêl:

Se dovessi scegliere
una reliquia della tua Passione,
prenderei proprio quel catino
colmo d'acqua sporca.
Girerei il mondo con quel recipiente
ad ogni piede cingermi l'asciugatoio
e curvarmi giù in basso,
non alzando mai la testa oltre il polpaccio
per non distinguere i nemici dagli amici,
e lavare i piedi del vagabondo, dell'ateo,
del drogato, del carcerato, dell'omicida.
di chi non mi saluta più,
di quel compagno per cui non prego.
In silenzio...
finché tutti abbiano capito,

nel mio, il Tuo amore.

Dimora e catino.

 

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