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TESTO La Pasqua in germe

padre Gian Franco Scarpitta  

II Domenica di Quaresima (Anno B) (25/02/2024)

Vangelo: Mc 9,2-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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2Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro 3e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. 4E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. 5Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 6Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. 7Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». 8E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.

9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. 10Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

Diceva da qualche parte Donald Trump che a volte nel perdere una battaglia si trova il modo di vincere la guerra intera; Confucio diceva che se un nemico ti ha fatto un torto, devi solo attendere seduto alla riva del torrente: prima poi vedrai passare il suo cadavere. Napoleone Bonaparte pregava Dio che il suo nemico vivesse abbastanza da poter assistere al suo trionfo. “Devo fallire spesso per avere successo una volta soltanto”(Og Mandino)

Massime, frasi, espressioni e insegnamenti che invitano al coraggio e alla perseveranza e che a mio giudizio sono orientativi anche sull'argomento che ci viene proposto in questa Domenica di quaresima, nella quale avvertiamo di aver intrapreso un itinerario impegnativo e dedicato, istoriato anche da sacrifici e da combattimenti finalizzati a guadagnare un premio la cui entità si vedrà soltanto dopo. LA disponibilità al sacrificio e alla privazione, la rinuncia, l'abbandono, la costanza nella lotta e nelle prove sono il costitutivo della Quaresima, ma se vogliamo anche a prescindere dalla spiritualità la vita stessa per intero rivela questi imperativi. Nella perseveranza non si può fare a meno di coltivare la speranza nella vittoria finale o nel traguardo, che potremmo raggiungere anche appena girato il prossimo angolo.

Le letture di oggi accostano alla costanza nei sacrifici e nelle immancabili rinunce la prerogativa irrinunciabile della fiducia, anzi della fede in Colui a cui appartengono tutti i risultati ed è l'unico a concedere a la corona a chi persevera e non si arrende.

Se Abramo avesse davvero sacrificato il suo unico figlio Isacco, avrebbe perduto il privilegio che aveva meritato per aver accolto e rifocillato il Signore che in incognito si era presentato con i suoi angeli (Gen 18): un figlio ottenuto da Sara in età molto avanzata; in più, non avrebbe più potuto prolungare la sua lunga progenie, che a partire da Esaù e Giacobbe avrebbe condotto fino al Messia (Gen 17). Secondo Giuseppe Flavio, del resto, la vittima predestinata poteva avere già 25 anni, quindi nel pieno della sua crescita e della sua formazione.

Quella a cui Dio lo esponeva era allora una prova davvero lancinante e fuori dal comune, che comportava un tormento atrocissimo e una dispersione interiore che solo una fede salda e radicata poteva superare. Sacrificare il figlio unico frutto di una speciale concessione e garante di un'infinita generazione! La fede del patriarca Abramo dovette essere davvero forte e non per niente viene esaltata come esemplare dall'autore della lettera agli Ebrei (11, 17). La fede cieca e incondizionata in un Dio che lo aveva già assistito e benedetto e che in un modo o nell'altro non lo avrebbe abbandonato, perché no? Anche risuscitando lo stesso figlio Isacco: “Egli infatti pensava che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.”

Il forza di questa fede di cui è ancora oggi simbolo e riferimento, il nostro patriarca sacrifica se stesso nell'atto di immolare il proprio figlio: si dispone ad affrontare, contristato, teso ed esacerbato, una rinuncia che non ha precedenti nella storia umana e che difficilmente la si potrà equiparare ad altre privazioni. Ma mentre la lama sta per lambire la carne del fanciullo (o giovane?), Dio lo ferma, mostrandogli la sua immensa gratitudine e ricompensando quella stessa fiducia con un ulteriore innalzamento di Abramo in fatto di predilezione (Gen 22, 23 - 24). Dall'angoscia alla gioia. Dall'umiliazione al trionfo.

Non capiterà la stessa cosa con il Figlio di Dio, fatto Uomo, che per volontà del Padre si consegnerà alle stremanti sofferenze della fustigazione, alle lame dei chiodi della croce e alla morte in mezzo all'abbandono e al disprezzo. Per lui non ci sarà (Come avvenne per Abramo) un ariete sostitutivo da immolare al Signore, ma sarà egli stesso la vittima sacrificale per la nuova Alleanza fra Dio e l'uomo.

Di questo Gesù aveva informato poco prima i suoi ottenendo una paternale da Simon Pietro che voleva ostacolarlo nel proposito di recarsi a Gerusalemme: “Non sia mai, Signore. Tu recarti proprio li, dove verrai immolato e ucciso di morte cruenta?”

E dopo averlo redarguito con quella famosa espressione: “Vai dietro a me, Satana!”, adesso gli dimostra, con i fatti più che con le congetture astratte, che questo percorso verso la croce è necessario e irrinunciabile.

Occorre necessariamente che egli vada al patibolo, perché solamente così potrà riscattare gli uomini dal peccato e manifestare quella che è la sua vera gloria, ora raffigurata nel candore superlativo delle sue vesti, che affascina gli astanti Pietro, Giacomo e Giovanni. Essi ora vorrebbero tralasciare gli impegni e le mansioni della vita quotidiana, vorrebbero omettere o disattendere i loro impegni comuni o quanto meno rimandarli al più tardi possibile: per loro è affascinante e meraviglioso sostare davanti al Signore che mostra la sua piena potenza e magnificenza gloriosa. Era bello ed esaltante per loro dimorare con il loro Signore che erano abituati a vedere vivere di fatica e di stenti, confondersi fra la folla, sgomitare da essa quando lo si voleva far fuori perseguitato da scribi e farisei per le “blasfemie” che proferiva; che vedevano nella vita ordinaria come uno fra i tanti, che tuttavia esortava alla fede nella sua messianicità in ragione di insegnamenti e di miracoli. Ora però avevano l'idea che chi stava per recarsi a Gerusalemme era Colui che doveva raggiungere l'innalzamento e la gloria non prima della passione e della morte, che doveva affermare la sua potenza in ciò che comunemente noi si rifiuta. Pietro potrà successivamente essere testimone credibile della potenza e della gloria di Cristo proprio in ragione di questa esperienza esaltante (2Pt 1, 16 - 18).

Pensare all'ideale da raggiungere vuol dire averlo raggiunto in parte; vederselo davanti è averlo quasi raggiunto. Quando si è stanchi e proclivi alla resa e quando ci sorprenda la tentazione di dover gettare la spugna, occorre sempre rappresentarsi gli obiettivi che ci siamo prefissi e per i quali stiamo lottando;; considerare e valutare di volta in volta la meta da raggiungere è un modo di alleggerire la lotta e di anticiparne l'arrivo e questo ci sospinge alla pazienza, al sacrificio, alla sopportazione delle prove e alla sopportazione delle altrui esecrazioni e dalle critiche che non di rado possono scoraggiare la nostra sorda verso il successo.

Ecco qui allora uno sprone e un incentivo alla perseveranza nel progresso spirituale della Quaresima, che racchiude in se stessa il germe della Pasqua, avendo in sé il seme della vittoria.

 

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