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TESTO Commento su Ger 20,10-13; Sal 68; Rm 5,12-15; Mt 10,26-33

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XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (25/06/2023)

Vangelo: Ger 20,10-13; Sal 68; Rm 5,12-15; Mt 10,26-33 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 10,26-33

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: 26Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. 27Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. 28E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. 29Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. 30Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. 31Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!

32Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; 33chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.

La prima lettura offre in Geremia un testimone emblematico del mistero delle persecuzioni. Chiamato da Dio, eletto profeta tra le genti, Geremia cede alla seduzione divina; ha un temperamento mite, malinconico, legato alla sua terra Anatot, non altro desidera che essere annunziatore di benessere e di giorni felici al suo popolo, e invece il Signore vuole che sia profeta di sventura, di sofferenze, di rovine, per l'infedeltà Israele. Per questo subisce reazioni violente, vendette, tradimenti, prigionia e persino il martirio. Nonostante ciò Geremia ha fiducia in questo Signore e la fiducia si tramuta in una preghiera e infine un inno di fiducia: “Cantate inni al Signore, lodate il Signore che ha liberato la vita del povero dalle mani dei malfattori.” E delega la giustizia non più a se stesso uomo, ma all'ira divina.
San Giovanni Paolo II disse ai giovani nel 2000, durante la veglia di Tor Vergata a Roma, in occasione della 15ª giornata mondiale della gioventù: “Anche oggi credere in Gesù, seguire Gesù, comporta una presenza di posizione per lui e non di rado quasi un nuovo martirio: il martirio di oggi, oggi come ieri, è chiamato ad andare contro corrente per seguire il maestro. A voi non verrà chiesto il sangue, ma la fedeltà a Cristo certamente sì. Una fedeltà da vivere nella situazione di oggi giorno.”
Oggi la persecuzione più terribile può essere l'assenza di persecuzione, ossia l'essere ignorati, ritenuti inoffensivi, non presi sul serio.
Questo vivere in cui come persona, ma anche come collettività, è un “vivi e lascia vivere”, è la massima espressione di “indifferenza”, dietro cui si nasconde una forma di “paura”; oggi l'80% dei nostri atteggiamenti sono condizionati, soprattutto quando si tratta di mettersi in relazione, con gli altri esseri umani.
Eppure Gesù rassicura i suoi discepoli per ben tre volte dicendo “non temete”.
Dopo tutto Gesù non ci chiede una testimonianza estrema, ma solo che si sia coerenti e fedeli al suo vangelo, di riconoscere di essergli sempre “amico” in qualunque circostanza, affinché anche Lui ci sappia riconoscere davanti al suo Padre che è nei cieli.
Spesso vorremmo spaccare il mondo di fronte alle ingiustizie, da quelle familiari a quelle sociali che ci coinvolgono in primis, per poi scusarsi dicendo: che è colpa della società, che la politica non sa guardare al prossimo, che è colpa dell'altro; e allora per rimediare basta un movimento di rabbia e contestazione, oppure fare una fiaccolata emozionale, o una manifestazione di massa, o una raccolta di soldi, per mettersi l'animo in pace, con sé e con il prossimo...fino alla prossima ingiustizia.
Allora incominciamo dalle nostre paure; incominciamo a fidarci di qualcuno che può darci forza, con un forte “non temere”: di confrontarci con chi è diverso per fede e religione, di avere la capacità di dire no o sì verso l'ingiustizia, di accogliere nella nostra realtà sociale l'immigrato, di ospitare nella propria casa chi è straniero, di condividere il pasto con l'ultimo, come un fratello nella carità.
Ogni giorno ha la sua pena, ma per grande che sia da sembrare un martirio, Lui sarà, ogni giorno, con te con il suo fiducioso: “Non temere!”

Domanda
Come singolo, come coppia, come famiglia, come comunità, so mettermi in gioco, con me stesso superando le paure del giudizio, fidandomi del “non temere” di Gesù?

Mariagrazia e Claudio Righi - Pisa.

 

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