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TESTO La famiglia è il piano di Dio per l'uomo

don Antonino Sgrò

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (Anno A) (30/12/2022)

Vangelo: Mt 2,13-15.19-23 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 2,13-15.19-23

13I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».

14Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, 15dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

Dall’Egitto ho chiamato mio figlio.

19Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». 21Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. 22Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea 23e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

Il racconto di Matteo 2,13-23 si divide in tre parti: la fuga in Egitto della Santa Famiglia (13-15), l'uccisione dei bambini di Betlemme (16-18), il ritorno a Nàzaret (19-23). La liturgia omette la parte centrale, concentrandosi sulla fuga e sul ritorno, descritti entrambi secondo un medesimo schema: apparizione dell'angelo che affida un compito a Giuseppe, esecuzione del comando, citazione di un profeta.

L'evangelista, attraverso l'immagine dell'entrata e dell'uscita dall'Egitto e il riferimento alle Scritture, presenta Gesù come Colui che ripercorre il cammino del popolo: Abramo, i figli di Giacobbe e Mosè scesero in Egitto e da lì risalirono; il popolo sperimenta proprio in quella terra di schiavitù la sua rinnovata condizione di figlio amato e liberato, come proclama il profeta Osea («dall'Egitto ho chiamato mio figlio»); Cristo è il Messia nel quale si compie definitivamente l'evento della liberazione. Perché ciò accada, anche il Figlio deve attraversare le acque della morte, senza che questa abbia l'ultima parola, e la sua risurrezione sarà l'approdo alla terra promessa del Regno divino che Egli è venuto a realizzare. Il racconto presenta dunque un marcato richiamo alla Pasqua di Israele e a quella di Gesù, così come alla nostra. Entrare in Egitto anche per noi significa entrare in una qualche morte, ma poiché è il Signore a chiedercelo, tale esperienza diventa il principio di una vita nuova. Infatti ciò che più ci ripugna e che eviteremmo molto volentieri, sacrifici, rinunce e umiliazioni, sono quell'Egitto in cui, soffrendo, possiamo elevare il nostro grido al Padre e tornare a sentirci figli, attendendo con fiducia la sua liberazione. Quando invece stiamo bene, corriamo il rischio di voler fare a meno del Signore, paghi delle nostre illusorie gratificazioni. Nelle situazioni di precarietà, solo l'obbedienza alla Parola ci consente di dare un senso alla nostra morte spirituale. Giuseppe ancora una volta viene presentato come modello di un'obbedienza che si pone a custodia della vita; dalla sua testimonianza risulta infatti che soltanto l'obbedienza al piano di Dio ci rende autentici promotori della vita, altrimenti agiamo solo per istinto, senza traghettare la nostra esistenza e quella delle persone affidate alla nostra responsabilità verso la promessa di Dio.

È questa la grande sfida per le famiglie di oggi: dare priorità al piano di Dio e non alle esigenze indotte dalla mentalità odierna. La Santa Famiglia rimane immigrata in terra straniera per un tempo indefinito, quasi a significare che occorre attendere con pazienza i tempi di salvezza di Dio e non i nostri, che sono in genere frettolosi e possono condurre a scelte premature e controproducenti. Questa pagina è modernissima, in quanto tutte le famiglie che sono state costrette ad emigrare possono rispecchiarsi in essa, sentendosi comprese e appoggiate da Gesù, Giuseppe e Maria, nostri fratelli stranieri. Tale ‘stranierità' deve permanere come condizione permanente dell'uomo di fede, chiamato continuamente a uscire da se stesso per realizzare la comunione con l'Altro e con l'altro dal volto uguale al mio; essa è condizione necessaria anche per ogni nucleo familiare, in cui i singoli membri devono assumere come prima fondamentale sfida la capacità di andare verso gli altri. Segue poi l'ulteriore sfida di riconoscere e affrontare i pericoli che attentano alla vita e all'amore della famiglia; una terza sfida consiste nel saper riconoscere i segni che indicano un tempo nuovo di vita nella piena signoria di Dio.

Giuseppe raccoglie tutte e tre le sfide e dà questa impostazione di fede alla sua famiglia. La sua doppia obbedienza al messaggero divino si concretizza nel ripetersi entrambe le volte dei medesimi verbi e oggetti: «si alzò... prese il bambino e sua madre». In tali formulazioni notiamo un primo aspetto significativo, ossia la portata teologica delle espressioni, che menzionano il verbo della risurrezione e la compresenza del bambino e della madre, sempre insieme, come a dire che chi nella vita dà spazio a Gesù e a Maria è certo di risorgere dalle morti che l'esistenza comporta. Ancora, osserviamo come il ricorrere di uguali azioni e soggetti ci richiami al fatto che la santità di una famiglia si costruisce nelle cose ordinarie, che potrebbero apparire banali, ma vissute ogni giorno sempre più consapevolmente e profondamente, consentono di stare alla presenza di un Mistero che rende la famiglia non solo grembo in cui la vita si genera, ma culla in cui l'Amore costantemente si contempla, si vive e si serve.

 

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