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TESTO L'ardimento della perseveranza

don Mario Simula  

XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (13/06/2021)

Vangelo: Mc 4,26-34 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 4,26-34

26Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 27dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 28Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 29e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

30Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».

33Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Discepoli di un maestro condannato alla croce, siamo come Gesù il pizzico di lievito che fermenta tutta la pasta. Esiliati in una realtà che sembra scrollarsi di dosso Dio come un ingombro inutile, cerchiamo di essere pieni di fiducia. Siamo esiliati che vivono radicati nella terra del loro esilio. Sempre pieni di vita.
La carta che giochiamo per entrare nel cuore della storia di ogni giorno è questa. Ci fidiamo di Dio.
Eppure guardando nel cuore delle nostre comunità l'esperienza è un'altra.
Arranchiamo cercando di rassomigliare a chi deve ogni giorno dare la scalata ad un potere umano.
Sappiamo di non contare nulla. Eppure siamo convinti che soltanto mascherando la nostra vita di ambizioni, di strumenti clamorosi, di strategie vincenti, riusciamo a far correre il Regno che Dio ha messo nelle nostre mani fragili e che Gesù annuncia con le parole disarmate della mitezza.
Gesù ha davanti agli occhi la folla.
Quella marea di gente semplice, aspetta il Messia vittorioso e liberatore. Vuole sentire un discorso di rivalsa e di ribellione al potere.
Gesù li porta per una strada che non tutela le aspettative.
“Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nel terreno e nel silenzio e nel nascondimento aspetta che cresca”.
La rivoluzione di Gesù è la forza di quel seme che impiega tanto tempo a germogliare e intanto butta sotto terra le radici. Sicure. Invase di linfa vitale.
Immagino che ogni comunità cristiana debba identificarsi in quella minima porzione di vita e iniziare a mettersi in discussione.
Noi siamo chiamati ad essere uomini e donne che sanno aspettare i tempi di Dio e non che impongono il tempo a Dio.
La frenesia del nostro annuncio dà la misura non del nostro coraggio, ma rivela la fragilità della nostra paura.
Racconti scialbi di vita attraversano i nostri cenacoli.
Un fuoco spento ha la pretesa di incendiare il mondo.
Gesù ci chiama a sé per dirci che soltanto accettando la morte del seme che si lascia sotterrare, possiamo rappresentare una speranza irresistibile.
Ci sembra di soffocare nel mare di infinite parole, di interminabili incontri, di preghiere vuote.
Ci sembra di battere l'aria cercando di essere migliori degli altri, senza essere ancora riusciti ad essere noi stessi.
Il terreno produce spontaneamente. Non ha bisogno dei nostri affanni. Aspetta la docilità di chi segue Gesù giorno e notte. Senza stancarsi.
Gesù ha messo dentro di noi un fuoco che brucia divorante, e che aspetta di incendiare senza distruggere.
La voglia di piccoli semi di senape che lasciano crescere alberi maestosi è irresistibile ogni volta che guardo in faccia Gesù e lascio che la sua chiamata mi raggiunga come una bufera.
Ci spaventa, fino a paralizzarci, la forza di quel piccolo e insignificante seme caduto in terra.
Vederlo silenziosamente crescere sconvolge i nostri piani.
Eppure dall'albero che sarà ogni giorno, viene l'ombra e l'accoglienza di chi è assetato di Dio.
Ci viene difficile riconoscere la crisi di onnipotenza che attraversa la storia delle nostre comunità.
Annaspiamo come persone senza speranza.
Gesù ci chiede di aprire lo sguardo: il più piccolo cresce e diventa più grande. L'albero spoglio mette rami lussureggianti.
Il nostro esilio non significa mai bavaglio. E' la condizione del Figlio di Dio le cui parole lasciano inevitabilmente il segno. Mentre i segni che compie promettono aurore di giustizia.
Siamo esiliati, sapendo di rappresentare il cuore di una umanità in ricerca. Anche nel piccolo dei nostri mondi.
Rinunciatari, ripetitivi, spenti, curvi sui nostri lamenti o sulle nostre autocontemplazioni siamo condannati a diventare muti, sordi, ciechi.
Mi metto nelle mani dell'Uomo che getta il seme. Che sa attendere il tempo della crescita. Con ardimento e coraggio.
Quel ramoscello che Dio coglie dalle cime degli alberi sontuosi, diventa la foresta che l'uomo vuole sperimentare per esistere.
Dio ci sta convocando a giudizio. Vuole scuoterci. Gesù ci sta interrogando senza mezzi termini: “Volete andare via anche voi?”.
Il piccolo seme ha un senso. E' questo: “Da chi andremo, Signore? Tu solo hai parola di vita. Tu solo getti nella terra semi buoni. Tu solo non hai paura di attendere. Tu solo hai fiducia nel chicco che muore sulla croce. Tu solo scuoti il torpore delle nostre esistenze. Tu solo puoi contestarci senza arrossire. Tu solo puoi scacciare dal tempio le nostre mercanzie inutili”.
Il messaggio non è ambiguo. Forse è troppo chiaro per le nostre stagioni. Ma è l'unico per le nostre stagioni.

Gesù, le piccolissime parabole dei semi sembrano dimesse e insignificanti. Eppure non ne ho sentito altre di più scomode. Destabilizzano la grandezza delle mie aspirazioni, la perfezione dei miei progetti, l'insensatezza delle mie scalate.
Io produco e produco. Agitandomi come un leone ferito.
Se mi fermo a scrutare in quale zolla hai seminato la mia vita comprendo che tu, Gesù, mi stai domandando altro.
Gesù, tu mi chiedi una manovalanza umile ma specializzata nella contemplazione di Te e nell'ascolto dei patimenti umani.
Gesù, tu mi domandi di attraversare acque impetuose senza perdere la calma e la fiducia nella tua Presenza.
Tu, Gesù, tu mi stai chiedendo di non esistere da solo, ma assieme a tanti tuoi discepoli che si sono lasciati sedurre dal tuo fascino fatto carne.
Tutte le volte che faccio prevalere i miei programmi, mi sento fuori posto. Forse mi sento un Dio, ma fuori posto.
Il posto che tu mi assegni è sotto terra. Nella zolla oscura ma ricca di vita.
La vocazione alla quale tu, Gesù, mi chiami è diventare albero grande che non dimentica da quale seme divino è nato.
Un albero che esiste perché altri trovino ombra, ospitalità, frutti saporiti.
Tu, Gesù, hai accettato perfino di essere tagliato con violenza. Ma nessuno ha potuto sradicare il seme, pronto a germogliare di nuovo.
Capisco tutto questo, Gesù.
Ma non capisco nulla di tutto questo, Gesù.
Se mi dai una mano, se mi affianchi, se hai compassione, se trovi misericordia sufficiente, mi rimane tutta la speranza. Sarò in esilio con gioia. Impegnato fino a morire. Proteso verso il momento nel quale ritornerò da Te, Gesù, il Signore.

 

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