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TESTO Commento su Giovanni 1,6-8.19-28

Missionari della Via  

III Domenica di Avvento (Anno B) - Gaudete (13/12/2020)

Vangelo: Gv 1,6-8.19-28 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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6Venne un uomo mandato da Dio:

il suo nome era Giovanni.

7Egli venne come testimone

per dare testimonianza alla luce,

perché tutti credessero per mezzo di lui.

8Non era lui la luce,

ma doveva dare testimonianza alla luce.

19Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». 20Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». 21Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. 22Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». 23Rispose:

«Io sono voce di uno che grida nel deserto:

Rendete diritta la via del Signore,

come disse il profeta Isaia».

24Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. 25Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». 26Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». 28Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

In questa terza domenica la liturgia ci propone un altro atteggiamento interiore con cui vivere questa attesa del Signore, cioè la gioia. San Paolo nella lettera ai Filippesi dice: «rallegratevi nel Signore». La gioia vera si ha nel Signore, viene cioè da una relazione con Lui: Dio “è la felicità in persona”, dunque è felice e rende felici! Non nel senso di euforici o banalmente allegri, ma fondati su di Lui, pieni, sereni. La vera gioia nasce dal di dentro: «La gioia cristiana è interiore; non viene dal di fuori, ma dal di dentro, come certi laghi alpini che si alimentano, non da un fiume che vi si getta dall'esterno, ma da una sorgente che zampilla nel suo stesso fondo, dall'agire misterioso e attuale di Dio nel cuore dell'uomo in grazia (...). È frutto dello Spirito e si esprime in pace del cuore, pienezza di senso, capacità di amare e di lasciarsi amare e soprattutto in speranza, senza la quale non ci può essere gioia» (R. Cantalamessa).

Dalla gioia passiamo alla luce. Il Vangelo di oggi ci parla infatti di Dio come luce. La luce è un simbolo meraviglioso: è ciò che fa vivere, senza luce non ci sarebbe vita. Dio è luce perché fa vivere, Egli è vita e pertanto illumina, chiarisce, conforta, riscalda il cuore. Eppure spesso noi abbiamo delle resistenze alla sua luce, abbiamo delle connivenze con le tenebre: abbiamo paura di aprirci fino in fondo a Dio e, a volte, anche di chi in suo nome ci vorrebbe e ci potrebbe aiutare. Attraverso il Vangelo siamo chiamati ad un combattimento: accettare la luce, credere alla salvezza, al bene, all'amore di Dio per me, alla possibilità che ogni cosa che c'è stata possa diventare utile per la salvezza, per la mia missione, per farmi crescere nella fede e nell'amore. Siamo chiamati a volgerci con decisione verso la luce, verso quella luce che non è di questo mondo. È una luce più grande: quante volte abbiam visto che aprendoci alla fede le cose prendono un'altra luce! Quello che fino a ieri era un non-senso della vita, viene ora riletto come una tappa di crescita; quella sofferenza senza senso, diventa luogo di salvezza e crescita; quella caduta reiterata, luogo di misericordia e umiltà...

Dall'accoglienza della luce si passa alla testimonianza della luce: «Martire in greco significa testimone. Il significato originale di questa radice greca designa la persona che si ricorda e dal suo ricordo trae conoscenza, amore, passione per la cosa ricordata, così da doverla comunicare agli altri. Così entra in ambito giuridico, nelle aule giudiziarie, per la deposizione di un fatto che può condannare o assolvere l'imputato. In ambito cristiano il martire non è solo testimone dei fatti, ma è colui che ha vissuto in prima persona e si schiera dalla parte di ciò che testimonia, in questo caso, attestandone la divinità al mondo» (card. G. Ravasi).

Giovanni ci sprona a testimoniare il Signore, con la testimonianza di vita e con le parole. La gioia non è tale se non è condivisa: tanti che incontriamo hanno bisogno di qualcuno che gli indichi la luce. Giovanni è un uomo libero, non “tira a sé”, ma indica qualcuno più grande; non vive per se stesso, per il proprio tornaconto, per la propria immagine, ma vive a servizio di qualcun altro: dello sposo vero, del Salvatore vero! La nostra è una missione bellissima, simile a quella di Giovanni Battista: orientare la gente a Cristo - non a noi stessi! - perché è Lui la meta a cui tende il cuore dell'uomo quando cerca la gioia e la felicità. Non bisogna porsi al centro della realtà, ma dobbiamo scoprire di esser al centro dell'amore di Dio, il vero centro, che vuole unirsi a noi, rendendoci partecipi del suo amore divino, capaci di amare come Lui.

Giovanni conclude dicendo: «In mezzo a voi sta uno che non conoscete». Gesù è molto più di quel che sappiamo e crediamo: Egli vuole entrare ancor più nella nostra vita per rinnovarla sempre più. Guai a sentirsi già arrivati, o a ridurre Gesù a una serie di nozioni e idee. Giovanni Battista ci invita a credere che non è tutto completo nella nostra vita: potremmo dire che è solo l'inizio, il Signore farà di più. Se il Signore l'abbiamo conosciuto sin qui, sappiate che molto di più di quel che sappiamo e molto più è quel che ci vuole dare! Ripartiamo dunque consapevoli che: «La gioia cristiana scaturisce da questa certezza: Dio è vicino, è con me, è con noi, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, come amico e sposo fedele. E questa gioia rimane anche nella prova, nella stessa sofferenza, e rimane non in superficie, bensì nel profondo della persona che a Dio si affida e in Lui confida»

 

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