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TESTO Il nostro Amen

don Luciano Cantini  

XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (22/09/2019)

Vangelo: Lc 16,1-13 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 16,1-13

In quel tempo, 1Gesù diceva ai suoi discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. 2Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. 3L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. 4So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. 5Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. 6Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. 7Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. 8Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 9Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.

10Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?

13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Forma breve (Lc 16, 10-13):

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli: 10«Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?

13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Che cosa sento dire di te?
La parabola che Gesù racconta ci dà una immagine del tempo in cui era abbastanza frequente il latifondo affidato a fattori e amministratori la cui ricompensa era spesso determinata da una percentuale dei prodotti.
L'amministratore della parabola è accusato di sperperare, ha perso il controllo dei beni affidati; non si parla di furti o di frodi piuttosto sembra uno che si è lasciato prendere dall'abitudine della gestione, senza la dovuta attenzione mentre le cose sono andate per la tangente. Vista così sembra di assistere ad una delle tante realtà di oggi in cui gli eventi lasciati a sé stessi sembrano aver avuto il sopravvento - pensiamo alla pesantezza del sistema burocratico, alle tante manutenzioni mancate, all'aggiornamento tecnologico venuto meno, alle tante negligenze...; porre rimedio a tale abbandono è difficile e faticoso.
Luca, nel suo vangelo, affronta più volte il tema della ricchezza e della povertà, della relazione col denaro; come noi, è cosciente che l'esperienza umana gira intorno al possesso e ai soldi con cui abbiamo a che fare tutti i giorni e di cui non possiamo fare a meno.

Rendi conto
Arriva il momento in cui, più o meno all'improvviso, è necessario rendere conto; ciò che prima passava inosservato diventa evidente, quello che era sottovalutato riacquista il suo significato, riemerge quanto era stato nascosto. Un terremoto, un'alluvione, un crollo di un ponte fanno scoprire dei lavori malfatti, degli abusi, delle situazioni precarie, delle truffe, quanto la pesantezza delle abitudini: si è sempre fatto così e tutto sembrava funzionasse, senza problemi.
L'amministratore della parabola sembra scoprire all'improvviso che l'azienda non era come sembrava, insieme prende coscienza di se stesso, vede davanti a sé strade chiuse e corre ai ripari; attinge dove può attingere, è plausibile pensare che abbia condonato parte dei debiti rimettendo parte del suo appannaggio, per mantenere aperto qualche portone. Il padrone loda il dipendente perché aveva agito con scaltrezza: con un rapido cambiamento dà una svolta alla sua vita nella direzione di una giustizia diversa, il dare e l'avere assumono significati differenti. Ritroviamo lo stesso cambiamento nell'incontro con Zaccheo (cfr. Lc 19).

Chi vi affiderà quella vera?
Quando parliamo di ricchezza abbiamo in testa la sicurezza, una tranquillità per il futuro, invece nel vangelo è sinonimo di pericolo, indica una minaccia sempre incombente. È interessante che l'evangelista abbia utilizzato la parola aramaica mamōn', riportando l'eco della Parola che Gesù stesso ha proclamato con autorità. Alla ricchezza sono attribuiti aggettivi tra loro contrapposti: “disonesta / quella vera”, “cose di poco conto / cose importanti”, “altrui / vostra”; sono in contrapposizione la considerazione e la relazione che si ha con i propri averi. Gesù non condanna l'uso della ricchezza, piuttosto chiede di usarne nella prospettiva delle "dimore eterne"; è la "giustizia" della ricchezza, l'orientamento verso Dio e il suo Regno. È richiesta la fedeltà alla ricchezza altrui, quella che abbiamo tra le mani e che ci è stata già affidata perché quella nostra arriverà in futuro. Di fatto quello che riteniamo nostro, dalla terra alla casa, dalla finanza alla produzione, tutto quello che crediamo di possedere perché acquistato, faticosamente messo da parte o ereditato dalla famiglia, le cose importanti è roba di poco conto; per quanto si ricerchi l'onestà delle cose in nome della legge degli uomini la ricchezza è sempre disonesta, quella vera ci sarà data poi.
Non possiamo tenere il piede in due staffe, essere strabici nelle prospettive, invece andiamo avanti quasi per inerzia, sicuramente per abitudine sia nelle cose degli uomini che in quelle di Dio tenendole accuratamente separate. Difficilmente pensiamo che si serve Dio nella giustizia sociale, nella vita di relazione, nel praticare la giustizia (Pr 21,3; Ap 22,11), invece ci rifugiamo nelle devozioni, nell'attenzione alle regole e poco più.
Dobbiamo svegliarci dal torpore dell'abitudine, liberare scelte audaci, praticare la giustizia nel senso pieno della parola e servire Dio solo.

 

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