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TESTO La vera ricchezza

padre Gian Franco Scarpitta  

XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (11/08/2019)

Vangelo: Gv 6,41-51 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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41Allora i Giudei si misero a mormorare contro di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». 42E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».

43Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. 44Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 45Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.

48Io sono il pane della vita. 49I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Diceva Cicerone: “L'avarizia in età avanzata è insensata. Cosa c'è di più assurdo che accumulare provviste per il viaggio quando si è già prossimi alla meta?” Sulla falsariga di questa espressione, Gesù ci ragguagliava la scorsa Domenica che qualsiasi età in effetti potrebbe definirsi “avanzata” in quanto la nostra vita è sempre provvisoria e precaria e non possiamo mai conoscere il momento esatto della nostra dipartita: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita e tutto quello che hai preparato di chi sarà?” Raccogliere e depositare in banca per se stessi solo apparentemente è foriero di gioia e di serenità, appunto perché vi sarà comunque un giorno, lontano o vicino, prevedibile o imprevedibile, nel quale saremo chiamati ad esalare l'ultimo respiro e in quel momento comprenderemo che a nulla sono serviti tutti gli sforzi per accumulare quando non possiamo godere dei nostri tesori. Occorre che si consideri, sia pure senza assilli e senza preoccupazioni eccessive, la relativa brevità della nostra vita, la nostra provvisorietà e limitatezza e soprattutto la verità amara che tutto ciò che abbiamo, compresa la vita, potrebbe esserci sottratto da un momento all'altro.

E anche a prescindere dall'ora del trapasso, è proprio garantito che le sicurezze materiali procurano soddisfazioni, benefici, serenità d'animo?

Chi alle scuole superiori o all'università accumula abitualmente voti alti sul libretto non è meno ansioso è preoccupato di chi tenta di guadagnare in tutti i modi la sufficienza. Proprio coloro che conseguono alte valutazioni sono costantemente sgomenti di aver rovinata la media da un momento all'altro o comunque di non riscuotere i medesimi successi abituali. Così anche per chi ha rafforzato i propri forzieri e ha stabilizzato il proprio capitale: non vivrà mai in pace fin quando non sarà certo che neppure un minuscolo centesimo vada perduto. Come descriveva un autore greco, sebbene abbia assicurato i suoi tesori prima di coricarsi, non prende sonno fin quando non scende a verificare che essi siano davvero ben custoditi e protetti e durante la notte potrebbe anche non prendere sonno intimorito dal minimo rumore sospetto. E intanto ha tagliato i rapporti e ha limitato le relazioni sociali, arrivando a sospettare perfino dei propri figli o dei parenti stretti. Il ricco vive sempre a povero, perché è intimorito della povertà.

Chi si fa forte dei propri averi e ripone ogni speranza in tutto ciò che possiede non potrà mai definirsi felice, ma perfino un mendicante sarà più ricco di lui, visto che un comune pezzente, a differenza di lui, gioisce sempre per le piccole monete extra che ha ricevuto.

Se si comincia ad accumulare denaro con il proposito di acquistare una casa o un'auto, inizialmente ci sentirà sempre animati da questo significante obiettivo, ma a lungo andare, man mano che i soldi invadono le nostre casse, diventano essi stessi il vero obiettivo del nostro risparmio. Da mezzo diventano fine alimentando in noi cupidigia e avidità. Tutto questo ovviamente a nostra deplorevole rovina e condanna a un regime di schiavitù sotto le mentite spoglie di subdola felicità.

In effetti la felicità non è di questo mondo, se per mondo si intende la materia e il legame alle false certezze; essa risiede semplicemente in noi stessi e nelle risorse che ci contraddistinguono, nella continua valorizzazione dello spirito e nella personale prerogativa di grandezza. Si è felici quando si è davvero liberi dalle vanità materiali e quando inutili vincoli di oppressione non ci assillano, soprattutto perché siffatta libertà dischiude la possibilità di dare il meglio di noi stessi: nella misura in cui non ci opprimono angosce terrene siamo in grado di scoprire e di mettere in atto la nostra utilità, di prodigarci sempre più verso gli altri e di sperimentare che in realtà c'è più gioia nel dare che nel ricevere (At 20, 20) e che soddisfano più le cose di cui possiamo fare a meno che quelle che tendiamo ad accumulare. Dominare le cose e non esserne dominati, ecco il segreto della felicità. Diceva Seneca che nessuno è libero finché è schiavo del suo corpo; per estensione lo è ancor meno quando è succube di ogni cosa che lo circonda o quando la materia, sotto varie forme lo condiziona o lo avvince. Dimostra di non essere che soggiogato e vessato alle trappole di cui egli stesso è stato fautore e costruttore.

La radice di tutti i mali non va interpretata in effetti nel denaro o nelle ricchezze in sé medesime, poiché è pur vero che attraverso di esse non pochi uomini facoltosi hanno avuto l'occasione di risolvere problemi ed emergenze altrui ed è altrettanto evidente che la presenza di uomini d'affari e di magnati della finanza contribuisce non poco a risollevare tante famiglie dalla morsa della disoccupazione e della miseria. Chi possiede tanto, ha altrettante possibilità di venire incontro a chi soffre, e fortunatamente questo si è sempre verificato. Il vero malessere risiede quindi non nel possesso, ma nella cupidigia, nel desiderio incontrollato di guadagnare esclusivamente per se stessi senza condividere o senza impegnarsi a vantaggio degli altri e soprattutto nella smodata affezione verso il denaro considerato come unico obiettivo del vivere.

l'ingordigia alimenta l'orgoglio e l'ostentazione di se stessi, legittima spesso l'effimeratezza e e incoraggia l'arroganza e la falsa sicumera ingenerando l'idea che il denaro e il potere ci rendono invincibili e superiori a tutti.

Come vincere allora il vero nemico fondamentale che si identifica per l'appunto nella voluttà, nella cupidigia e nel piacere effimero?

La Scrittura ci rivela un espediente molto valido per rapportare noi stessi ai beni materiali: l'umiltà e la buona coscienza di non essere davvero noi i padroni di quanto possediamo. Tutto ci è stato dato in dono e ogni cosa ci è stata affidata da Dio per un determinato scopo, anche il guadagno e la ricchezza. Il libro del Deuteronomio ammonisce che in ogni caso colui che consente di arricchirci anche materialmente è uno solo: “Ricordati del Signore tuo Dio, poiché egli ti da' la forza per procurarti ricchezze”(Dt 8, 18), ma evidentemente tale concessione non è finalizzata allo scapito di se stessi e di altri, piuttosto a rendere gloria a Dio in ogni cosa, per ciò stesso ai fini di carità umile e controllata.

La vera ricchezza risiede piuttosto in Dio stesso, nell'osservanza della sua Parola e nella radicalità nei suoi insegnamenti e per ciò stesso nel prendere le distanze da qualsiasi tendenza di sottomissione ai beni materiali, nella fuga dalla voluttà e dal guadagno smodato ed egoistico affinché in ogni caso si lodi Dio soprattutto nel servizio del povero e del bisognoso.

In tal modo ci si crea un tesoro duraturo e infrangibile che non conosce ruggine né tignola, che offre soddisfazioni già in questa vita prima ancora che nell'Altra.

 

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