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TESTO Commento su Isaia 5,1-7; Matteo 21,33-43

Carla Sprinzeles  

XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (08/10/2017)

Vangelo: Mt 21,33-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 33Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. 38Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. 39Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». 41Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».

42E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:

La pietra che i costruttori hanno scartato

è diventata la pietra d’angolo;

questo è stato fatto dal Signore

ed è una meraviglia ai nostri occhi?

43Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.

Oggi c'è un messaggio nelle letture che ci fotografa tutti. Siamo pronti alla foto di gruppo? Non ci siamo solo noi nella foto ma tutta l'umanità. V'incuriosisce? Ascoltiamo.
La storia dell'umanità è la storia di un amore in crisi, di un amore non corrisposto, di un innamorato passionale, Dio, e di una sposa tiepida e opportunista, l'umanità. Ecco, la foto di gruppo riprende noi insieme a tutta l'umanità: rappresentiamo la sposa di Dio. In tutte e due le letture, Isaia e il Vangelo, si parla in un linguaggio agricolo. Forse i contadini o chi possiede una vigna o un orto può capire meglio, però cerchiamo di capire tutti e di tradurre questo linguaggio, apparentemente agricolo, in un linguaggio affettivo: questo lo comprendiamo tutti. Si parla di una vigna, in realtà Isaia parla di un cantico d'amore di un contadino appassionato della sua vigna, a favore della quale mette tutto il suo ingegno e le sue energie. Ognuno di noi può sostituire alla vigna la propria passione. C'è chi ha speso tutta la sua vita per i figli, per la sua ragazza o il ragazzo, per una ditta, per lo sport. Vedete voi, se non avete la vigna, sicuramente una passione ha preso la vostra vita e per questa l'avete spesa. Ecco fate voi la traduzione. Il messaggio di oggi è che ci è affidato un compito che stiamo tradendo, per cui possiamo essere rifiutati e la missione può essere affidata ad altri popoli, ad altre culture, come è successo al tempo di Gesù.
La vigna del Signore è l'umanità intera, la Chiesa non è il regno di Dio, ma ha un compito particolare in ordine al regno di Dio: è in funzione, è al servizio, è testimone. Noi corriamo il rischio che ci sarà tolto il regno e affidato ad altri popoli, che ne produrranno frutti di vita eterna. Il benessere che abbiamo raggiunto non può essere condiviso con tutti: questo ci porterà a non convertirci e allora il compito sarà affidato ad altri.

ISAIA 5, 1-7
Nella prima lettura di Isaia (siamo nell'VIII secolo a.C.), la vigna era il popolo di Israele: “la vigna è il mio popolo, Giuda la mia piantagione preferita”. Nell'esperienza cristiana, fino a venti, trent'anni fa il regno veniva identificato con la Chiesa. In realtà oggi sappiamo che la vigna è l'umanità intera e che la Chiesa non è il regno ma è al servizio del regno.
Riprendiamo l'immagine di Isaia della vigna e del viticultore appassionato che dissoda il terreno, lo sgombra dai sassi e pianta viti pregiate. Costruisce in mezzo alla vigna una torre per difenderla. Dio, il viticultore appassionato si pone a difesa della sua vigna, della sua amata, del suo popolo. Ha scavato un tino per produrre il vino, che indica l'amore, la gioia, la felicità. Dopo aver fatto tutto ciò che poteva fare, aspetta i tempi della crescita, che l'uva maturi. Qui subentra il dono dei doni che ci valorizza: la libertà. Entra in campo la nostra responsabilità, anche se per l'uva forse non si può dire. Isaia dice che la vigna produce uva acerba, che non matura: l'amata non ha corrisposto all'amore. Il viticultore chiede agli abitanti di Gerusalemme di fare da giudici tra lui e la sua vigna: “Che cosa potevo fare di più, che non ho fatto?”
Il diletto, il viticultore appassionato, Dio desidera che siamo noi gli uomini, che hanno rifiutato la sua proposta di dialogo generoso e amoroso, a giudicare se stessi.
Il rifiuto della vigna, della ragazza, del popolo, il nostro rifiuto dell'amore di Dio (perché vogliamo essere noi a gestire la nostra vita e anche quella degli altri) produce effetti negativi. Prima il diletto aveva costruito la torre per proteggere la vigna, ora toglierà la siepe demolirà il muro di cinta: la vigna sarà calpestata e trasformata in pascolo, non sarà più vangata e cresceranno i rovi. Questo non perché ha cessato di amare la vigna, ma perché rifiutando l'amore, la sposa umanità subisce le conseguenze del rifiuto. La prima caratteristica dell'amore è la libertà di accettarlo o di rifiutarlo. Da evidenziare l'attesa - l'aspettare senza esito del contadino ( sposo, Dio..): questi acini acerbi dei delitti e delle grida degli oppressi, in luogo di giustizia e rettitudine. Dunque l'appassionato lavoro del proprietario della vigna non mirava a ottenere l'esteriorità solenne dei riti al tempio, bensì relazioni umane più eque e fraterne in città.
Vincerà l'amore paziente e infinito di Dio sposo e padre!

MATTEO 21, 33-43
La parabola che ci viene proposta è secondo il vangelo di Matteo. Viene pronunciata a Gerusalemme, nel momento in cui il conflitto con i responsabili giudaici raggiunge il culmine, essa costituisce l'ultimo avvertimento lanciato da Gesù.
C'è un padrone di un terreno, che pianta una vigna. Come nell'immagine di Isaia, la circonda con una siepe, scava una buca per il torchio, costruisce una torre, figura di ciò che Dio è per il suo popolo: “Torre fortissima” rifugio e sicurezza.
La differenza dall'immagine di Isaia è che qui il padrone dà la vigna in affitto a dei contadini e se ne va lontano. Chi riceve “in affitto” una vigna, non può ritenersi padrone. Allo stesso modo i responsabili d'Israele non potevano ritenersi padroni del popolo e non potevano sostituire alla parola di Dio le loro tradizioni umane. Cerchiamo di non puntare il dito solo sui responsabili della Chiesa; guardiamo, che quando puntiamo l'indice, le altre dita della mano sono rivolte verso di noi. Come dicevo all'inizio nella foto ci siamo tutti. Ognuno di noi tende a sentirsi padrone della propria vita, mentre l'abbiamo ricevuta e la riceviamo in ogni istante e a volte vogliamo anche essere padroni della situazione in cui viviamo e dove ci riusciamo, cerchiamo di gestirla noi, di fare i piccoli padroni del vapore.
La parabola è una sintesi della storia della salvezza. Difatti quando giunge il tempo del raccolto dell'uva, il padrone manda i suoi servi a ritirare il raccolto. Ma i contadini, uno lo bastonarono, uno lo uccisero, un altro lo lapidarono. Il padrone manda altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. I servi sono la rappresentazione dei profeti. Poi il padrone manda il figlio, pensando che suscitasse in loro il rispetto. Forse neanche noi sappiamo cos'è il rispetto! Ci lamentiamo di non essere rispettati ma, non si vende al mercato il rispetto!
Notiamo quanta cura, amore e tenerezza ha il padrone nel preparare e difendere la vigna da dare in affitto e quanta idiozia e arroganza hanno i vignaioli che pensano, uccidendo il figlio del padrone, di diventare eredi! Non ci stupiamo, ci saremmo comportati nello stesso modo! Non riconosciamo il nostro limite, ci crediamo autosufficienti, magari senza rendercene conto, che è peggio, perché non possiamo neanche cambiare se ci sentiamo a posto! Ancora oggi succede così, ci sentiamo nel nostro piccolo, onnipotenti e pensiamo persino di fregare Dio. Quante volte nella preghiera, sappiamo e diciamo a Dio cosa deve fare e ce la prendiamo se poi così non succede! L'importante è rendersi conto di questi errori, perché se ne siamo consapevoli e ci presentiamo a Dio con queste ferite, lui se ne fa carico e se serve per il bene, ce ne libera, altrimenti rimaniamo accecati dalla violenza e dall'arroganza! E quanta ce n'è!
Ebbene il figlio del padrone è Gesù, l'avete capito tutti, i vignaioli sono i responsabili del popolo di Dio, in quel momento i giudei, ma come ho detto più volte, siamo tutti responsabili gli uni degli altri.
Il bello è che Gesù chiede a chi lo ascolta l'esito della parabola, chiede: “Quando verrà il padrone della vigna, cosa farà a quei contadini, che hanno ucciso il figlio?”. Il Dio che Gesù è venuto a rivelarci non ci giudica, non ci castiga, è l'uomo stesso che si giudica e si castiga. Lo dirà anche Gesù: “La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie.”
La risposta è stata che la vigna sarà data ad altri contadini.
Gesù viene ucciso fuori delle mura di Gerusalemme, come viene anticipato dalla parabola: “Lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero”, ma ci verrà detto: “La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d'angolo”. Nessuno è profeta in patria, neanche il figlio di Dio, perché nessuna patria ama i suoi profeti. Mentre lo straniero è forse più capace di accettare il nuovo, è più disponibile, ma in realtà nella terra di Dio siamo tutti stranieri.

Vi siete ritrovati nella foto di gruppo che rappresenta l'umanità che dimentica di essere in affitto, che non sa vivere nella gratitudine del dono della vita, che gli viene soffiata a ogni istante? Spero di sì, altrimenti analizzatevi meglio! Ma, niente paura, il Dio di Gesù ama proprio chi è in difetto, chi è debole, occorre solo che siamo veri e non ci contiamo frottole. Andiamo tra le braccia di chi tanto ci ama e lui ci rende buoni, capaci di comunicare il suo amore e la sua pazienza a tanti altri fratelli.

 

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