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TESTO La festa della misericordia

don Luca Garbinetto  

XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (11/09/2016)

Vangelo: Lc 15,1-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Forma breve (Lc 15, 1-10):

In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Misericordia è movimento. Misericordia è incontro. Misericordia è festa.

Le commoventi parabole che Gesù dona ai nostri cuori, appesantiti dall'esperienza del peccato e dalla consapevolezza di vivere in un mondo segnato ogni giorno dagli sfregi del male, sono un tesoro inesauribile, una luce penetrante nel mistero del Cuore di Dio. A Lui guardiamo, per lasciarci illuminare nell'intimo dalla verità di ciò che anche noi siamo.

Dio è misericordioso come un pastore che conosce ogni sua pecora per nome; come una massaia preoccupata di non trascurare neanche uno spicciolo per il bene dell'economia famigliare; come un padre disposto a perdere la faccia pur di restituire ai propri figli la dignità di figli.

E misericordia è movimento. C'è un dinamismo che accomuna i passi affrettati del pastore, le mani esperte e delicate della donna, la trepidante corsa del padre verso chi è fuori di casa. La misericordia è la benzina per le gambe, e si nutre di un cuore incapace di accomodamenti. Sta sempre allerta, vigilante del dolore dell'altro, anche di quello che sembra essersi voluto procurare da solo, nel tragico circolo vizioso del peccato. La misericordia spinge la vita e rompe indugi e passività. Per usare le parole di papa Francesco ai giovani, mossi dalla misericordia al cammino verso Cracovia nel pellegrinaggio giubilare, essa è l'antidoto a una ‘spiritualità del divano'. Chi ama non sta mai fermo, ed è proprio l'opportunità di amare la forza che sradica la tentazione di chiudersi nelle proprie lamentele e autocommiserazioni, per scegliere invece di ferirsi i piedi fra i rovi, di sporcarsi le mani nella terra, di perdere i timori delle regole sociali pur di arrivare a chi ha bisogno. Nel dinamismo della misericordia, ci si fa tutto in tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno (cfr. 1 Cor 9,22).

Così la misericordia è incontro. Più precisamente, è rinnovamento nell'incontro. C'è sempre una relazione che si intreccia di nuovo o che diviene nuova nel tessere un nuovo legame tra le persone. Se non c'è il ‘corpo a corpo', ancora non è misericordia. Rimane idealismo compiacente oppure passeggera emotività. Per divenire misericordioso, il cuore ha bisogno di mani che toccano e di occhi che riconoscono, lasciandosi riconoscere. Si è nel mistero del reciproco svelamento, per cui il belare di una pecorella è capace di restituire alla virilità del pastore la coscienza del suo essere custode, chiamato a una missione insostituibile. Una semplice moneta inerte, simbolo di tante persone che si percepiscono inutili e senza valore, può divenire motivo per una donna premurosa di ritrovarsi vivace promotrice di solidarietà e di prossimità. E un figlio scapestrato ripete nel ventre paterno il lacerante mistero della vita che nasce, per una seconda volta, come quando - piccolo piccolo - usciva piangente alla vita dal grembo della madre. Dunque la misericordia è incontro di andata e ritorno. È dono vicendevole, che mina le basi di chi volesse costruirsi un piedistallo di gratificazione con i propri atti di benevolenza.

E di fatto la misericordia si genera in un ventre squarciato dal dolore di una perdita e dalle strette di una mancanza. Nemmeno il padre fedele e attento come sentinella nella notte vanta un atteggiamento di preveggente magnanimità. Egli, come il pastore e la donna di casa, soffre lo smarrimento di chi era accanto a lui, e in questo patimento vede sbocciare il seme della misericordia, depositato nel proprio intimo. È passaggio pasquale, necessario, seppure incomprensibile: non si impara ad amare se non perdendo ciò che si ama; non si diviene misericordiosi se non percependo quella vulnerabilità in noi che fa gemere alla misericordia. Solo chi sa gridare ‘abbi pietà di me' diviene capace di offrire la pietà evangelica, che è misericordia. Ecco perché l'incontro che ci ha salvato è stato il grido del Getsemani, e le lacrime del Padre sull'angoscia e la morte del Figlio Gesù, vero Prodigo venuto a spargere a piene mani il patrimonio della grazia fra le miserie della nostra terra pagana.

Così la misericordia diviene festa. Sembra paradossale. Eppure il dolore, la perdita, il gemito divengono a loro volta grembo di gioia. Nel vuoto che si è generato al constatare la nostra infinita povertà che invoca pienezza, si apre lo spazio perché quel volto da cui si è fuggiti ritorni luminoso e irradiante a rinnovare la certezza di cui abbiamo bisogno: ‘tu sei prezioso ai miei occhi; io per te do la mia vita!'. Ed è proprio così! Ed è questa verità che si trasforma in gioia incontenibile, tangibile quanto un abbraccio, traboccante come giare di vino ricolme, pingue come il grasso di un vitello svezzato e ingrassato apposta.

Gioia che sprizza dal costato aperto e che gocciola dalle ferite delle spine di un diadema di gloria. Gioia che contagia nella danza delle nozze, perché lo Sposo è tornato e tutti siamo invitati a partecipare. Gioia che rimane misericordiosa, per cui se non bastano i servi, è di nuovo il Padre che esce alla ricerca del figlio intestardito a non lasciarsi amare gratis.

Non bastano le parole per descrivere la tenerezza profonda che regala questa esperienza, impregnata di totale gratuità e di sorprendente cura per ognuno di noi. Siamo pecorelle smarrite, siamo talenti nascosti, siamo figli ribelli e cocciuti commercianti di meriti... Eppure il Signore non si stanca, ci cerca, e gioisce anche solo per uno sguardo sfuggente che gli regaliamo, come un genitore fedele che si sbizzarrisce nella fantasia dell'amore per arrivare a incontrare la dolce fragilità del figlio.

 

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