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TESTO Commento su 2Sam 7,1-6.8-9.12-14a.16-17; Col 1, 9b-14; Gv 18,33c-37

don Raffaello Ciccone  

Domenica di Cristo Re (Anno A) (09/11/2014)

Vangelo: 2Sam 7,1-6.8-9.12-14a.16-17; Col 1, 9b-14; Gv 18,33c-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 18,33c-37

33Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». 34Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». 35Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». 36Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

2 Samuele. 7, 1-6. 8-9. 12-14a. 16-17
Il regno di Davide si costituì a prezzo di tanto sangue con i popoli vicini e il conflitto stesso tra le tribù del Nord (10 tribù) e le tribù del Sud ( 2 tribù di cui quella fondamentale era Giuda con Gerusalemme), in Israele, era latente ma sempre vivo. Il prestigio del vecchio re non riusciva sempre, però, a rappacificare le tensioni interne e, insieme, il malcontento dei popoli vicini, sottoposti a tributi esorbitanti ed a lavori forzati (2 Sam 12,31). Il dramma di Davide si sviluppò, però, soprattutto all' interno alla sua famiglia, per la rivalità tra i figli che si combatterono: Amnon, l'amato primogenito ed erede, fu ucciso dal fratello Assalonne che, a sua volta, si rivoltò contro il padre e morì nel combattiment6o tra le truppe di Davide e le sue truppe ribelli. Un terzo figlio, Chiliab, scomparve senza essere nominato più; deve essere morto nel conflitto familiare. L'ambiziosa Bersabea si era fatta promettere da Davide il trono per il figlio Salomone e la lotta per il trono si concluse con l'uccisione di Adonia, un altro fratello, da parte dello stesso re Salomone, poiché furono scoperte le sue ingenue trame di pretendente.
In questo contesto, Davide pensò di costruire un tempio a Dio per propiziarlo per la sua discendenza, in balia delle stragi e della storia. Il sacerdote e profeta Natan, che inizialmente aveva approvato, poi ripensò e una profonda notturna riflessione, aiutato da Dio, lo portò a sconsigliare la costruzione: avrebbe spremuto troppo il suo popolo di tasse. Nel libro delle Cronache (1 Cr 22,8-10) si parla di rifiuto di Dio poiché "hai versato troppo sangue". A questo punto Natan offrì una garanzia al sovrano angosciato per il futuro della sua dinastia: "Un tuo figlio edificherà la mia casa e la discendenza non avrà fine" disse il Signore.
Ma, con la conquista di Gerusalemme da parte dei Babilonesi (587 a.C.), finì il tempo della dinastia dei re di Giuda e non risorse più neanche dopo l'esilio.
Tuttavia nel popolo d'Israele non finì mai la speranza. Si iniziò ad attendere il nuovo re come il re Messia, discendente dalla stirpe di Davide. Così cominciò l'attesa messianica, con la continua ambiguità di attendere un regno che si imponesse e conquistasse il mondo.
Dio fece sorgere, nella famiglia di Davide, un discendente, ma non fu un conquistatore. Fu un bambino debole e indifeso. Solo Maria accolse il messaggio.
Da adulto, si presentò così, disarmato, disponibile ad accogliere ogni persona, amico e salvatore di ogni escluso e disperato, con un progetto ed un messaggio nuovi rispetto a "questo mondo". Egli li affidò alle mani di Dio e nelle mani di un popolo che avesse accettato questo progetto: Egli fondò il regno di Dio che era Lui stesso.
Colossesi. 1, 9b-14
Paolo scrive alla comunità di Colossi, dopo che Epafra, discepolo di Paolo, è venuto a raccontare ciò che sta avvenendo in questa Comunità a Paolo, in prigione.
Si stanno diffondendo delle strane teorie sugli spiriti celesti, immaginati come potenze cosmiche e astrali, intermediari tra l'uomo e Dio. Sono dotate di forza misteriosa, capaci di condizionare la vita delle persone e presentate come superiori a Cristo. Gesù, infatti, si riduce ad uno di questi intermediari e non certo il più potente. Epafra ricorre a Paolo perché intervenga a chiarire la fede cristiana.
Il testo, che leggiamo oggi, precede immediatamente il famoso inno Cristologico (1,15-20), su chi è Gesù ma ci offre alcune premesse preziose per la comunità cristiana.
Prima di tutto, è necessaria la preghiera, dice Paolo, e di questa si dice garante di una tale supplica davanti a Dio. Egli chiede che si sviluppino "conoscenza, saggezza e intelligenza" negli amici cristiani a cui scrive. Sono doni di Dio per penetrare nella sua volontà. E qui volontà di Dio non ancora l'orizzonte etico e non esprime tanto la preoccupazione di un comportamento. Richiama la volontà di Dio come l'orizzonte di un progetto sul mondo e sul popolo. Questa volontà è misteriosa, amorosa e dono da conoscere ed acquisire. Tale conoscenza ci conduce, quasi per mano, a "comportarci in maniera degna del Signore e a piacergli in tutto".
Da questa particolare attenzione e ubbidienza nascono "frutti" che si riversano in una condotta morale coerente e questa ci permette di approfondire, ancora di più, la conoscenza del Signore.
La forza, che il Signore offre, ha lo scopo di "farci perseveranti e di saper offrire misericordia (Magnanimità) in tutto". Si profila un comportamento di grande saggezza e di forte accoglienza che fa intravedere lo stile dei santi.
"Siamo stati strappati dal dominio delle tenebre, trasferiti del Regno del Figlio": perciò il mondo, attraverso i credenti, dovrebbe splendere di luce che è festosità e freschezza, aiuto reciproco e fiducia, serenità e rispetto.
In un mondo tanto amato da Dio e tanto bello perché creato da Lui, sentiamo tutti di aver bisogno di speranza. Ci sembra infatti di vivere in un mondo impaurito e perciò individualista, e quindi di essere, noi stessi, carenti di un comportamento qualitativamente nuovo. E invece dobbiamo rendere visibile la bellezza, operare per frutti di consapevolezza e di coesione, condividendo sapienza. Reciproca stima e coesione.
Il nostro mondo ha bisogno di questa visibilità: lo stile imperante si frantuma in scelte e voglie troppo e spesso unicamente personali, capricci, esibizioni, ostentazioni senza buoni motivi e senza linee di coerenza, in mancanza di orizzonti essenziali comuni. Eppure c'è una gran voglia di scoprire significati e scelte, valori e passioni autentiche.
Quando emergono ci stupiscono e ci ingolosiscono. E' il mondo di Gesù che si fa vivo e garante nei suoi amici. Questo fa sorgere speranza.
Dovremmo, insieme, poter leggere l'ultima lettera alla madre della giovane ragazza iraniana, non cristiana, credo, Reyhaneh Jabbari, impiccata giorni fa in Iran per aver ucciso il suo stupratore: "Madre, non piangere; accuserò i giudici al tribunale di Dio e ora dona i miei occhi". Nella sua tragedia vuole trasformare la sua sofferenza e l'ingiustizia subita in un dono.
Giovanni. 18, 33c-37
Nel dialogo tra Pilato e Gesù si possono rilevare varie osservazioni; due mi sembrano farci meditare nell'oggi.
La prima: "Il mio regno non è di questo mondo".
Qui Gesù ribadisce che il messaggio sul Regno di Dio, che è al cuore della sua predicazione, comporta un capovolgimento totale: Dio non agisce tra gli uomini secondo i modi dei potenti, che appunto dominano con prepotenza e schiavizzano, bensì con i criteri della misericordia e dell'amore, facendosi in Gesù uomo-con-gli uomini, Dio-tra-noi, Dio-con-noi, Dio debole, Dio compassionevole.
E' un re che sta dalla parte dei sudditi e non viceversa. Quindi, secondo i linguaggi e la prassi del mondo, un Dio-non-re.
Queste parole ci portano a pensare se davvero siamo capaci di capovolgere la nostra mentalità secondo la prospettiva di Gesù. Convertirsi significa proprio questo: assumere il modo di pensare, di sentire, di vedere le cose, di amare, di agire di Gesù, secondo il profilo che di Gesù leggiamo nella Lettera ai Filippesi (2,5-11): "Gesù svuotò se stesso assumendo una condizione di servo".
La seconda: "Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce"
Che cosa vuol dire "essere dalla verità"?
Certo, qui Gesù, che è un ebreo, non parla della verità in senso filosofico, ma secondo l'idea di verità che troviamo nella Scrittura: non a caso la parola ebraica (hemet) si richiama ad una radice che significa roccia e viene attribuita solo a Dio (l'Amen che è Dio).
Verità è allora una persona che si rivela in Gesù Cristo e per questo chi si affida a Gesù è dalla verità e ascolta la sua voce.
Non dice ‘parola', ma ‘voce', cioè la parola che ti tocca, che entra in te.

don Raffaello Ciccone e Teresa Ciccolini (Vangelo)

 

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