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TESTO Commento su Luca 9,18-24

fr. Massimo Rossi  

XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (23/06/2013)

Vangelo: Lc 9,18-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,18-24

18Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». 19Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto». 20Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». 21Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno.

22«Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».

23Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. 24Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà.

Le letture di questa domenica sono altrettante riflessioni ispirate, illuminate cioè dalla luce dello Spirito Santo, su che cosa è salvezza. San Luca, ma anche gli altri paralleli evangelici, presentano la dicotomia tra ‘perdere' e ‘salvare', intesi appunto nelle diverse accezioni, rispettivamente cristiana e non cristiana. Perdere la vita per amore di Dio significa salvarla; risparmiare la propria vita per amor proprio e per rispetto umano equivale a perderla. In entrambe le espressioni, affinché qualcosa si salvi, qualcosa andrà perduto: che cosa è più importante, la fede, o l'integrità della salute? Per ‘salute' non intendo solo la salute fisica, ma anche quella degli affetti.

Se ci fermassimo qui, allora avremmo tutto il diritto di prendercela col Buon Dio, il quale, prima ci mette al mondo così, come siamo, e poi ci chiede di scegliere tra noi e Lui... Non è quello che dice il Vangelo! Dio non è un bambino capriccioso come le divinità dell'Olimpo greco, volubili, rissose, invidiose degli uomini, alle quali bisognava sacrificare per rendersele propizie.
Tantomeno Dio si contraddice.

Noi amiamo veramente Dio se e soltanto se impariamo ad amare noi stessi e gli altri.

Dunque non si tratta di confrontare due amori potenzialmente concorrenti, ma di distinguerli bene per poterli mettere in relazione armonica e feconda. Vediamo come.

Questione delle questioni è il rapporto tra salute e salvezza: la lingua latina conosce un solo termine, salus, salutis, che si traduce, a seconda dei contesti come salvezza, o salute.

Alla luce della fede non possiamo tuttavia intenderli come sinonimi. La salvezza è categoria (teologica) molto più ampia della ‘comuné salute del corpo; tuttavia, anche noi che siamo così sensibili e facilmente ci spaventiamo dei messaggi che il nostro corpo ci invia, specie quelli dolorosi, quando una persona cara sta male, molto male, e la prospettiva di sopravvivenza è legata ad un intervento devastante e menomante, siamo disposti anche a vedercela restituire su una sedia a rotelle, basta che non muoia: in casi come questi, la qualità della vita si abbassa parecchio, ma non importa, basta che viva, che sopravviva.

Secondo la fede cristiana, salute e salvezza riguardano livelli diversi della persona, tanto che si parli della salvezza presente, quanto di salvezza futura. La salvezza presente è intesa come salvezza dello spirito, che è la radice della persona, salvezza dai peccati. La salvezza eterna è invece la contemplazione del volto di Dio, vedere Dio faccia a faccia. Di questo abbiamo già ripetutamente parlato.

Torniamo al Vangelo e chiediamoci: come mai il Signore ordina severamente ai Dodici di non rivelare a nessuno che è il Cristo di Dio? Curioso, anche gli spiriti immondi lo chiamano così e anche a loro (il Signore) impone severamente di tacere.

Certo che il Figlio di Dio è un interlocutore a dir poco singolare: prima interroga i discepoli su che cosa pensino di lui, e appena questi glielo dicono, azzeccando per giunta la risposta, li sgrida comandando loro di non dirlo più.

Io una spiegazione ce l'avrei: Gesù non consente ai suoi di parlare di lui nei termini suddetti, perché non ha ancora affrontato la croce: è sulla croce che Gesù fa verità su di sé; è in virtù della croce che il Figlio riceve dal Padre quel "nome al di sopra di ogni altro nome" di cui parla san Paolo al cap. 2 della lettera ai Filippesi, alludendo proprio al nome ‘Cristo'.

Allora la croce di Cristo non fu prima di tutto e per lo più la soluzione escogitata da Dio per perdonare i peccati degli uomini; anche di questa delicatissima questione abbiamo già parlato altre volte, ma vale la pena ricordarcelo ogni tanto, anche per dare risposte sensate a chi ci chieda ragione della speranza che è in noi (cfr. 1Pt 3,15). Provate a ragionare: se Dio avesse dovuto incarnarsi per liberarci dai peccati, il peccato dell'uomo avrebbe in un certo senso obbligato il Padre a mandare suo figlio a morire per noi. La tesi non regge perché comprometterebbe la libertà assoluta di Dio. Allora perché l'incarnazione? perché la croce?

Per manifestare che l'amore infinito di Dio non si ferma davanti a niente e a nessuno; l'amore di Dio continua ad amare, immutato, anche davanti alle minacce, davanti ai tradimenti, alle condanne ingiuste, davanti alle torture più dolorose e, infine davanti alla morte più infamante, qual è la croce. Gesù diventò il Cristo manifestando il perdono di Dio verso tutti coloro che fecero di Lui quel che vollero... Giuda, Pilato, Erode, Caifa... persino i soldati che gli piantarono i chiodi nelle mani, nei piedi, e infine gli squarciarono il costato con una lancia.

Gesù diventò il Cristo mantenendo immutata la sua fedeltà al Padre, volendo quello che Lui voleva. E che cosa voleva il Padre - perdonate il tono retorico -, che suo Figlio morisse in quel modo? Il Padre voleva che Gesù continuasse ad avere fede in Lui, che non perdesse la speranza in Lui e continuasse ad amare gli uomini in nome di Lui, a qualunque costo, anche a costo di morire. Questo Gesù fece, e per questa fedeltà si guadagnò il nome che ormai tutti sappiamo.

Se questo è il primo fine della croce di Cristo, la conseguenza di questo amore del Padre e della fedeltà del Figlio fu, è la salvezza dai nostri peccati.

E ora veniamo a noi: ciò che Gesù chiede a coloro che lo vogliono seguire è di fare sul serio, come Lui! di andare fino in fondo, come Lui! Chi sceglie la fede non torna più indietro; guarda dritto davanti a sé, affrontando la vita a muso duro, come dice letteralmente il Vangelo di Luca, pochi versetti oltre quelli che avete ascoltato: "Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, (Gesù) si diresse decisamente verso Gerusalemme..." (9, 51).

L'alternativa non è un viaggio a marcia ridotta, sarebbe una scelta mediocre; non ci torno più su, perché ne abbiamo parlato domenica scorsa fino alla nausea. A proposito di nausea, l'Apocalisse dichiara che a Dio, i mediocri danno il voltastomaco, anzi, li vomita addirittura (cfr. Ap 3,16).

L'alternativa al coraggio di credere è il coraggio di non credere. Aver fede in Dio, oppure rifiutarlo sono convinzioni che non poggiano su alcuna evidenza, non se ne può provare la verità, o la falsità, il che è lo stesso. "Io credo perché credo", e chi non crede è costretto suo malgrado ad affermare la stessa cosa cambiata di segno.

A voi la scelta... niente ‘sé e niente ‘ma'... Solo ‘sì', o ‘no'. Anche questo lo sapevamo....

 

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