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TESTO Senza cuore la messa è finita

don Giovanni Berti

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno A) (26/06/2011)

Vangelo: Gv 6,51-58 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

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L'Eucarestia non è principalmente una cosa da spiegare ma prima di tutto è una esperienza da vivere. Non sto ovviamente rigettando in due secondi tutta la riflessione teologica che nei secoli la Chiesa ha prodotto sulla Messa, ma credo che anche nelle intenzioni di Gesù e in quello che i suoi primi apostoli e amici hanno raccolto ci sia un insegnamento di vita concreta per non ridurre l'Eucarestia solamente ad una serie di pensieri astratti.

Dico questo perché avendo concretamente a che fare con i ragazzi e adolescenti della parrocchia, mi accorgo che non serve a nulla trovare una buona spiegazione sull'importanza della Messa per convincerli a superare l'istintivo senso di noia e rifiuto che questa parola fa scaturire loro. Me se sono accorto specialmente in questi giorni di campo estivo in montagna con un bel gruppo di 50 ragazzi di seconda media e i loro animatori adolescenti. Bastava un velato richiamo alla Messa che subito dalle loro facce si capiva che non ne volevano sapere, e che al massimo avrebbero "sopportato" la cosa, purché durasse poco.

Ho quindi lasciato libera la celebrazione alla Messa quotidiana, così che chi fosse venuto potesse fare una scelta libera. Non mi va proprio che la Messa sia avvertita come un obbligo e un sacrificio... Non credo che fossero questi i sentimenti principali che Gesù voleva nei suoi amici.

Le parole dei Giudei riportate dall'evangelista Giovanni, ben fotografano la fatica di capire il significato vero e concreto delle parole di Gesù anche oggi. La realtà dell'Eucarestia ci rimanda ad un incontro personale con Gesù che si propone come "pane", un cibo che sazia il cuore e la vita interiore e fa sperimentare nella limitatezza dell'esperienza umana l'eternità di Dio. Ma come fare per capire questo...?

Credo che davvero la Messa si comprenda se la si inserisce in tutta una vita evangelica. Se in questa settimana di campo estivo non ho obbligato nessuno dei ragazzi a venire a messa, ho cercato però con gli altri educatori di far fare loro una esperienza di comunione profonda e vera, fatta di collaborazione, di amicizia, di perdono reciproco. Credo davvero che senza il prima e il dopo secondo i principi del Vangelo, la Messa si trasforma in un atto incomprensibile fatto di gesti strani e alla fine noiosamente ripetitivi, che nessuna spiegazione teologica può far brillare.

Se celebrare la presenza viva di Gesù nel pane e nel vino significa entrare in comunione con Lui e tra di noi, allora anche prima e dopo la Messa ci deve esser un contesto di vita in comunione tra noi e con Dio. Se le parole di Gesù che troviamo nel Vangelo non hanno mai posto nella vita quotidiana, in quello che facciamo in casa, al lavoro, con gli amici e ovunque siamo, allora nemmeno le celebriamo all'interno della Messa ci possono interessare, e diventano poco significative.

I Giudei non capivano le parole di Gesù e le avvertivano come senza senso, perché non erano suoi amici e non avevano una fiducia quotidiana con lui. Lo stesso dobbiamo chiederlo a noi stessi, in modo da superare il vivere la Messa come semplice dovere esterno a noi, ma che non tocca il cuore.

Solo quando la partecipazione alla Messa sarà avvertita come necessità profonda del nostro esser cristiani, andremo in cerca delle spiegazioni, perché avremo il desiderio di vivere sempre meglio questa esperienza.

Le messe celebrate durante questo campo (a parte quella finale con tutti i ragazzi e genitori) sono state partecipate da un piccolo gruppetto. Forse erano povere di presenza, ma sono certo che erano più vive e convinte, perché i pochi ragazzi e animatori che hanno partecipato hanno sentito che era una esperienza bella per loro, bella proprio perché non imposta. Spero davvero che sia nato anche in loro il desiderio di approfondire l'esperienza fatta.

La domenica quando celebro l'Eucarestia, cerco sempre di scacciare la tentazione di essere contento solo se c'è "molta gente". Cerco invece di non spegnere mai in me la domanda "perché siamo qui?" e "cosa posso fare perché sia una vera esperienza di comunione?"

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