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TESTO Giovanni 15,1-8

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S. Benedetto abate, patrono d'Europa (11/07/2001)

Vangelo: Gv 15,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 19,27-29

27Allora Pietro gli rispose: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?». 28E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. 29Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna.

Il Vangelo odierno insiste sul frutto e sull'interiorità e corrisponde bene alla vocazione benedettina di interiorità e di fecondità interiore.

Gesù ci domanda di portare frutto e ci indica le condizioni perché si realizzi questa che è esigenza essenziale, dato che "ogni tralcio che in me non porta frutto il Padre lo toglie, mentre quello che porta frutto lo pota perché porti più frutto".

Portare frutto si oppone, in un certo senso, a un lavoro fatto in serie da una macchina: c'è una grande differenza tra una macchina che produce e una pianta che produce. I prodotti di una macchina sono tutti uguali, materiali, provenienti, per così dire, dall'esterno; una pianta produce lentamente, attraverso un processo vitale, un frutto di un sapore unico: non ci sono due frutti identici. Un oggetto non lo si fa maturare: lo si fabbrica, lo si pone sul mercato, si vende, si usa, si butta via; un frutto invece deve maturare.

E' una opposizione che può essere applicata anche alle nostre opere. E san Paolo, nella lettera ai Galati, parla infatti delle opere della carne, contrapposte al frutto dello Spirito. I Giudei erano preoccupati di fare delle opere e qualche volta lo sono anche i cristiani:

fare delle opere, moltiplicare le azioni per aumentare i meriti... ed è molto facile moltiplicare le opere, un po' come una macchina sforna i prodotti, meccanicamente. Ma il Signore non ci domanda di moltiplicare le opere esteriori, vuole che produciamo frutto. E molto diverso.

Noi siamo capaci di fare delle opere, possiamo moltiplicare le nostre attività, organizzarci, fare dei piani e realizzarli... Lo possiamo fare esteriormente, come una macchina, da noi stessi. Ma il Signore ci chiede di produrre frutto, e questo da soli non siamo capaci di farlo, perché è un'altra cosa, suppone l'interiorità, suppone una vita interiore che non ci è naturale, che dobbiamo accogliere in noi. Solo nel Signore, con lui, noi possiamo produrre frutto.

Gesù ha parlato di alberi buoni e di alberi cattivi e ha detto che un albero buono produce buoni frutti, mentre un albero cattivo produce frutti cattivi. E ha anche detto che noi non siamo alberi buoni, che il nostro cuore è cattivo, che dal cuore umano vengono tutte le malvagità, le mancanze di carità, l'impurità, l'avarizia, il delitto. L'uomo è decaduto, non è più un albero buono, non può produrre buoni frutti da solo.

Proprio per questo motivo Gesù ci indica la condizione indispensabile per produrre frutti graditi a Dio: "Rimanete in me e io m voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me". I' frutto dello Spirito è sempre il frutto dell'unione con Cristo, quel frutto dello Spirito di cui Paolo dice che è amore, gioia, pace, pazienza, e molti altri doni spirituali. I benedettini insistono sulla pace, attendono, dalla loro unione al Signore la pace nelle comunità e la pace che diffondono intorno a loro. E il frutto dello Spirito. E ricercano questa pace mediante una certa moderazione delle loro attività. Non corrono dietro a opere multiple, ma regolano la loro attività in modo da preservare la vita interiore e da produrre il frutto dello Spirito e non soltanto opere umane. Certamente i benedettini sono capaci di lavoro perseverante e si dice "lavoro da benedettini" proprio per parlare di un'opera di ampio respiro, che richiede una perseveranza, una pazienza, un coraggio che non tutti hanno: essi attingono appunto la loro perseveranza nell'unione con il Signore. Facendo il loro lavoro per il Signore, sono capaci di farlo malgrado tutti gli ostacoli, di portarlo avanti lentamente, pazientemente, compiendo così opere che sfidano il tempo. Ma la loro principale aspirazione è portare frutto, e deve essere anche la nostra.

Importante non è fare un lavoro o un altro, l'attività esterna, la riuscita. Importante è l'unione con il Signore, e il frutto proveniente da questa unione. Sappiamo tutti che ci sono persone che non possono più lavorare, per malattia o per altre ragioni: se sono unite al Signore portano frutto molto più di altre che si affaticano in molteplici attività. "Rimanete in me e io in voi... Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla".

Gesù fa una precisazione importante: "Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi...". Per fare frutto bisogna meditare la parola del Signore, permetterle di mettere radici nel nostro cuore, di trasformarci e allora produrrà frutto, questa parola che è come un seme, cioè ha in sé una forza vitale. La nostra unione con il Signore allora sarà reale, concreta, non esisterà soltanto nella nostra immaginazione.

Non scoraggiamoci se ci rendiamo conto che la nostra vita è piuttosto sterile; camminiamo con pazienza, chiediamo a Gesù di approfondire la nostra unione con lui e i frutti verranno, buoni e abbondanti.

 

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