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TESTO Cristo, Re della Misericordia

don Alberto Brignoli  

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XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) - Cristo Re (21/11/2010)

Vangelo: Lc 23,35-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 23,35-43

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] 35il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». 36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».

39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Siamo giunti - per la Liturgia - all'ultima domenica dell'anno, dedicata a Gesù Cristo Re dell'Universo da quando papa Pio XI ne istituì la festa nel 1925. Per noi, oggi, è forse superfluo affermare che il Regno di Cristo è un Regno spirituale e non temporale, che cioè non coincide con una realtà politica o territoriale. Eppure, non fa male ricordarcelo, sulla scorta del fatto che lungo i secoli in diverse opportunità alcune gerarchie, sia ecclesiastiche che civili, hanno confuso i due aspetti - ovviamente condizionate anche dai particolari momenti storici che stavano vivendo - e hanno costituito una presenza della Chiesa nel mondo proprio con le fattezze di un regno politico, ignorando che il concetto di Regno di Dio è un concetto molto più ampio di quello di un regno terreno, e molto più ampio pure della Chiesa stessa.

Ma non è certo questo che la festa di oggi ci stimola a considerare, se non per aiutarci a prendere sempre di più le distanze da visioni politiche e temporali del Regno di cui Cristo è Re.

Ci lasciamo invece condurre per mano dall'evangelista Luca, che quest'oggi "abbandoniamo" (con un po' di rammarico personale, vi confesso, perché adoro particolarmente il suo Vangelo) dopo averlo letto lungo tutto il corso di quest'anno liturgico, per iniziare da domenica prossima il percorso di Avvento in compagnia di Matteo. E Luca, prima di salutarci, ci lascia come "testamento" un'autentica perla, che solo lui riporta nei racconti della Passione di Cristo. In realtà, vedremo che più che del testamento di Luca si tratta del testamento di Cristo secondo quanto Luca ha professato e sostenuto lungo tutta la sua opera.

La crocifissione di Gesù così come ce la presenta Luca in questo brano sembra proprio la parodia di una cerimonia di investitura di un sovrano, e farne la parodia significa quasi "ironizzare", "prendere in giro" la regalità di questo mondo mostrando ai lettori del Vangelo di ogni tempo cosa significhi veramente "regnare" sul mondo, così come Cristo ha fatto.

Partiamo da quell'iscrizione che da sempre attira l'attenzione dei nostri sguardi e che leggiamo come una sigla ("INRI") sopra il Crocifisso: negli altri vangeli sinottici, è descritta come un'insegna messa dagli aguzzini per spiegare il motivo della condanna di Gesù, quindi un cartello che doveva avere lo scopo di burlarsi del condannato a morte. Giovanni ne fa addirittura motivo di discussione tra Pilato e il Sinedrio. In Luca si tratta solo di una scritta, su cui non viene data né spiegazione né tantomeno giudizio. Più che di una condanna, allora, possiamo di dire che si tratti di una gloriosa affermazione, quasi di un'acclamazione ("Costui è il Re dei Giudei"): una sorta di investitura che richiama in maniera evidente e porta a compimento la prima investitura che Gesù ricevette direttamente dal Padre il giorno del battesimo al Giordano ("Questi è il mio Figlio prediletto").

Luca, inoltre, colloca sotto la croce (ma sarebbe più giusto dire "davanti al trono") non solo gli oltraggi dei passanti e dei capi del popolo, ma gli insulti dei soldati romani, che gli altri evangelisti collocano prima, al momento dell'incoronazione di spine. Invece di oltraggiarlo collocando sulla sua testa una finta e burlesca corona, i soldati romani del vangelo di Luca sono sarcasticamente descritti come più "colti", e sfidano il Cristo chiedendogli di salvarsi dalla croce proprio in nome della sua regalità (i capi religiosi invece lo sfidano sulla sua messianicità...ma per i soldati è una cosa teologicamente troppo complessa...).

E la risposta di Gesù a queste provocazioni la conosciamo bene: non accetta la sfida, e rimane sulla croce. Quasi a dire che la proclamazione della sua regalità non gli viene dallo sfuggire alla sua sorte (scendere dalla croce), ma dalla sua assoluta fedeltà ad essa, perché è solo la sua totale assimilazione alle sorti dell'umanità crocifissa che - nel disegno misterioso del Padre - gli danno l'autorizzazione ad essere proclamato Re dell'Universo.

E così, una volta ottenuta la sua proclamazione a Re rimanendo ben saldo sul trono della croce, il Crocifisso del Vangelo di Luca inizia a riempire di sudditi il suo nuovo Regno: e non inizia certo dai sacerdoti o dai capi del popolo, dagli scribi e dai farisei, e - pensa un po'! - nemmeno dai suoi discepoli. Inizia da un malfattore, da un delinquente, da uno di quelli che era appeso alla croce con lui: sarà lui il primo ad entrare, dietro sua esplicita richiesta, nel Regno di Dio.

Di fronte a un evento di somma importanza, la Legge di Mosè prevedeva sempre la presenza di due testimoni che ne attestassero la veridicità: e così, l'annuncio della Resurrezione di Gesù nel Vangelo di Luca viene dato da due uomini in bianche vesti, così come l'anticipo della sua Resurrezione, ovvero la Trasfigurazione sul monte Tabor, era avvenuto alla presenza di due autorevolissimi testimoni del calibro di Mosè ed Elia. Ma sul più bello, nel momento in cui deve essere riconosciuto e proclamato Re dell'Universo, il Figlio di Dio prende come testimoni due delinquenti. E, cosa ancor più sconvolgente, a uno di essi, a quello che riesce a riconoscerlo come tale forse proprio perché ha gettato lo sguardo su quella scritta sopra la croce, offre addirittura il perdono e la salvezza. La porta di quel Paradiso chiusa da Adamo con il peccato delle origini si riapre ora con il perdono offerto dal Nuovo Adamo sulla croce.

Solo Luca, l'evangelista della misericordia, poteva narrare un episodio del genere! Solo lui poteva lasciarci, come testamento finale di Gesù, una parola di umana comprensione e di perdono divino. Il modo scelto da Gesù per esercitare la sua regalità su tutti gli uomini, compresi i suoi nemici e compresi i malfattori della peggior specie, è quello di amarli e di perdonarli. I nemici non si sottomettono sconfiggendoli, si conquistano amandoli: sembra essere proprio questo l'ultimo insegnamento di Gesù nel Vangelo di Luca che ci ha accompagnati per tutto questo anno.

Se questa è dunque l'aria che si respira tra le mura del Regno di Dio; se noi cristiani, nel nostro insieme, nel nostro essere Chiesa, vogliamo essere - come spesso diciamo - segno del Regno qui sulla terra, non possiamo che comportarci in questa maniera, così come il nostro Re ha fatto il giorno della sua intronizzazione.

Una Chiesa che non è segno di misericordia, che non annuncia il perdono, che non pone gesti forti di riconciliazione e di dialogo ma che, al contrario, giudica, condanna e crea disparità tra gli uomini sulla base di una verità posseduta con presunzione e ritenuta appannaggio di se stessa, difficilmente tornerà ad aprire agli uomini le porte del Paradiso.

Ma soprattutto, rischierà pure lei di rimanerne fuori.

 

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