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TESTO La preghiera del povero: quella gradita a Dio

Suor Giuseppina Pisano o.p.

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (24/10/2010)

Vangelo: Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

La parabola evangelica di questa domenica, ancora una volta, richiama la nostra attenzione sul tema della preghiera.

Scrive un noto commentatore: "La preghiera autentica trasforma, trasfigura, trapassa carne ed anima di una creatura, purifica come fuoco, e immerge l'uomo in Dio". Chiaramente si parla di quella preghiera altissima, dono gratuito che viene dall'Alto, incontro con Colui che è comunione e che non ha più bisogno di parole.

Ma la preghiera non sempre è di questo livello: spesso la nostra è fatta solo di lunghi monologhi, nei quali talvolta anche la nostra grettezza, la meschinità d'animo e, purtroppo, la vuota superbia.

Con questa parabola è Gesù stesso a metterci in guardia dal rischio di cadere in una preghiera che preghiera non è, perché davanti a Dio nessun uomo può vantarsi di niente.

Il passo del Vangelo recita "Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano...". Sono due persone come tante ed hanno entrambe un medesimo desiderio: incontrarsi con Dio in uno spazio privilegiato, consacrato ad una speciale presenza di Lui che ha posto la sua dimora tra gli uomini, il Dio che accoglie ed ascolta tutti, perché, come nota il Siracide: "Il Signore è giudice, e per lui non c'è preferenza di persone...."; che sia giusto o peccatore, chi si presenta al Signore è accolto come figlio e, come tale, è amato.

Dunque, un fariseo e un pubblicano salgono al tempio e vi si fermano in preghiera. Il fariseo era una persona appartenente ad una comunità religiosa del giudaismo, che aveva dato vita ad una corrente spirituale che si distingueva per l'impegno nell'osservanza della Legge: cosa, questa, molto buona, finché non si rasenta quel fanatismo che rischia di disumanizzare tutto o, peggio, come stigmatizzava spesso Gesù, di render esclusivamente formale, e perciò ipocrita, la stessa religiosità.

L'altro orante è un pubblicano, cioè un esattore di imposte per conto dell'odiato potere di Roma, insediato anche in quella regione; dunque un uomo che collabora con lo straniero e che, maneggiando denaro pubblico, fa sicuramente anche i propri interessi, e questi non del tutto onesti.

Così, ci sono due uomini nel tempio, sono lì e pregano; ma quanto è diverso il loro atteggiamento di fronte a Dio!

"Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo". Questa del fariseo dovrebbe essere una preghiera di lode, ma è solo un'autoesaltazione, un assurdo elenco di meriti che quest'uomo pretende di ricordare a Dio, quasi che il rapporto con Lui si possa ridurre ad un baratto: io ti ho dato e tu, per giustizia, mi devi....

La preghiera del fariseo rivela un animo meschino, come è quello di chi è chiuso nell'alta considerazione di sè, in quella superbia che, non solo disprezza il prossimo, ma, come ammoniva il grande Agostino: "Tende insidie anche alle cose buone per guastarle". Tale è il pio fariseo, rispettoso dei doveri verso Dio, ma più per vanità che per amore.

Ecco poi, in un angolo del tempio, l'altra persona che era salita a pregare: il pubblicano che: "fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore".

Quest'uomo sapeva di essere inviso alla gente, sentiva addosso il disprezzo di tutti e sicuramente avvertiva anche il peso della propria disonestà, dalla quale voleva essere liberato; egli era consapevole della sua povertà interiore, dei suoi errori, delle ingiustizie commesse, della sua indegnità, soprattutto davanti a Dio, nel quale tuttavia confidava, sicuro della sua infinita bontà, e a Lui, infatti, si affida con quella sua preghiera semplice, onesta, commovente.

Ci ricorda il salmista: "Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato, egli salva gli spiriti affranti. Il Signore riscatta la vita dei suoi servi; non sarà condannato chi in lui si rifugia"(sal. 33); il Signore terrà conto del pentimento del pubblicano, del dolore per il male commesso e della sua umiliazione davanti a Dio.

Ci ricorda ancora il Siracide: "La preghiera del povero attraversa le nubi, né si quieta finché non sia arrivata; non desiste finché l'Altissimo non sia intervenuto"; e Dio interverrà col perdono a risanare il povero che grida a lui dalla miseria del suo peccato; l'umile, che non ha meriti da accampare, ma che tutto attende dall'amore del Padre e riceverà da lui, con abbondanza, misericordia e perdono.

"Io vi dico - sono le parole dello stesso Gesù a commento della parabola - che questi, (il pubblicano) a differenza dell'altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato."

Scrive A. Plummer: "L'umiltà è il passaporto per essere ammessi al regno di Dio e per essere giustificati ai suoi occhi". L'umile non ha nulla da vantare e nulla pretende, sa di non poter contare su se stesso, ma crede fermamente di potersi appellare all'amore misericordioso di Dio, davanti al quale sta come il prodigo che torna a casa pentito e riceve l'abbraccio del Padre.

"Il Signore riscatta la vita dei suoi servi - ci ricorda ancora il Salmista - e non sarà condannato chi in lui si rifugia..." (sal. 33); e non può essere altrimenti, dal momento che il Padre ha mandato il Figlio nel mondo proprio a cercare i peccatori e a risanare i malati. Ci dice Gesù: "Le persone sane non hanno bisogno del medico; sono i malati, invece, ad averne bisogno; ed io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori". (Lc. 5,31-32.)

sr. Maria Giuseppina Pisano o.p.
mrita.pisano@virgilio.it

 

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