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TESTO La necessità di pregare sempre

Suor Giuseppina Pisano o.p.

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XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (17/10/2010)

Vangelo: Lc 18,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 18,1-8

In quel tempo, Gesù 1diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 2«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. 4Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, 5dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». 6E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

"La necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai...."; è Gesù stesso a parlarne e può sembrare difficile, molto difficile, perché l'attenzione dell'uomo, volta verso tante cose diverse, non riesce a concentrarsi a lungo in un'azione così alta come la preghiera.

Eppure c'è un salmo che, più di ogni altro, ci aiuta a capire sostanzialmente cosa sia pregare: è il salmo 130, in cui l'orante è presentato come un bambino tra le braccia della madre: "Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l'anima mia. Speri Israele nel Signore, ora e sempre"; questo è l'uomo di preghiera, cioè l'uomo che spera sempre nel Signore.

Infatti la preghiera, pur essendo l'azione più alta e sublime, è anche la più semplice; anzi, nel pensiero del Salmista, essa è la più naturale, come è naturale che un bimbo ancora piccolo, tra le braccia della madre, contempli sempre e per prima cosa il volto di lei che lo rassicura, e avverta attorno a sé quelle braccia, che lo accolgono, lo proteggono, gli danno fiducia e gli trasmettono amore.

Ecco: la preghiera semplice e fiduciosa è la certezza che lo sguardo di Dio è su di noi, come quello della madre; che l'amore di Dio ci avvolge come le braccia di lei che ci tengono, ci conducono e ci guidano anche quando ci sembra di essere soli.

Ci ricorda oggi il Salmista: "Non lascerà vacillare il tuo piede, non si addormenterà il tuo custode, perché non prende sonno il custode di Israele... Il Signore è il tuo custode, il Signore è la tua ombra e sta alla tua destra... Il Signore ti custodirà da ogni male: egli custodirà la tua vita..." (Sal. 120); dunque la preghiera è come respiro della vita, la certezza indubitabile che Dio è con noi, che Dio è per noi e noi siamo la creatura a lui più cara.

La preghiera semplice, fiduciosa, incessante, è il centro della liturgia della Parola di questa domenica che si apre col passo dell'Esodo e la figura del grande orante: Mosè.

Mosè è l'icona classica dell'orante, con le mani alzate verso il cielo, mentre Giosuè, a capo del popolo, cerca di resistere al duro attacco di Amalek. Recita il testo sacro: "Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva..."; e fu per l'invisibile forza di quelle mani disarmate, ma sempre rivolte a Dio, che Amalek fu vinto.

Ma la liturgia oggi ci presenta anche un'altra icona di orante, un'icona che è, solo apparentemente, più modesta, perché in realtà, ha in sé una grande forza: è l'anonima vedova di cui Gesù parla nella parabola che egli usa per spiegare ai discepoli cosa sia quella preghiera incessante di cui non ci si deve mai stancare.

La parabola, specchio di una reale e frequente situazione del tempo, racconta di una vedova che chiede giustizia, una donna che, pur non ricevendo udienza, continua senza perdersi d'animo a gridare le sue richieste a quel giudice duro, sordo, arrogante che, inevitabilmente, la respinge.

Gesù si serve, per il suo insegnamento di questa figura di donna, quasi un'emarginata; si sa, infatti, che nella Bibbia, "gli orfani e le vedove" erano le persone più deboli e vulnerabili, esposte ad ogni angheria, ad ogni ingiustizia, perché indifese; eppure questa donna, con la forza della disperazione, affronta, senza scoraggiarsi mai, uno dei tanti giudici arroganti, uno di quelli che il grande Isaia così stigmatizzava: "Guai a coloro che fanno decreti iniqui, e scrivono in fretta sentenze oppressive, per negare la giustizia ai miseri, e per frodare il diritto dei poveri, per far delle vedove la loro preda, e spogliare gli orfani..." (Is.10,1-2)

Tale è il giudice di cui la parabola ci parla: "un giudice che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno"; un giudice disonesto e impietoso, eppure, contro la tracotanza di questo magistrato, si leva, con incredibile insistenza, la voce della vedova: "Fammi giustizia contro il mio avversario".

Nelle parole della donna c'è una straordinaria forza che vuole raggiungere lo scopo a tutti i costi; c'è un'insistenza che sembra importuna, ma è il segno di una speranza che non muore: è la profonda certezza che, prima o poi, la sua supplica verrà esaudita; e così accade: "Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi".

Nel Vangelo di Luca c'è un'altra parabola che tratta lo stesso argomento: è quella dell'amico importuno che, a notte inoltrata, va a chiedere del pane e non smette di insistere, nonostante il ripetuto diniego, finché, come sottolinea il testo, anche controvoglia, l'amico si alzerà, perché l'altro con la sua insistenza non lo lascia riposare. E Gesù così commenta: "Chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede ottiene, chi cerca trova e a chi bussa viene aperto".

Le due parabole, che raccontano di semplici fatti umani, ci insegnano che la forza della preghiera è nella perseveranza, nella fede che non vacilla, nella speranza grande che quel Dio verso il quale sono rivolti i nostri occhi, anche se, iperbolicamente, paragonato ad un giudice impietoso, o ad un amico infastidito, è sempre e soltanto Padre; un padre attento al bisogno dei figli, un padre sollecito che previene ogni nostra richiesta, un padre che gode quando i figli si rivolgono a lui con fiducia incrollabile.

Continua Gesù: "E se voi, cattivi come siete, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il vostro Padre celeste darà lo Spirito a chi glielo chiede..." (Lc.11,13 )

Così la preghiera, quella semplice, autentica, profonda, diventa per l'uomo una dimensione della sua esistenza, segno di fede e di amore nel Dio che ci ha creati, che ci guida e che ci attende per un eterno, indissolubile abbraccio di comunione.

La preghiera esige anche di essere coltivata, e non tanto con le formule, quanto con una fede viva e crescente; ed è su questo punto che oggi la parola del Vangelo ci interpella con quelle parole raggelanti del Cristo: "Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà ancora la fede sulla terra?".

E' vero, Dio non tradisce mai la sua creatura, non l'abbandona mai, veglia su di essa, la segue, la cerca, perché è Lui il solo, vero Fedele; ma l'uomo può tradire, e lo sappiamo bene; l'uomo può allontanarsi illudendosi che, fuori dalla casa del Padre, ci sia ancora felicità e pace; ecco perché la Chiesa ci esorta, oggi in modo particolare, a riflettere sulla nostra vita di fede, sul nostro rapporto con Dio, sulla qualità del nostro pregare: quello sguardo sereno e fiducioso di figli che guardano con amore al Padre e a lui si affidano, sicuri di essere accolti, protetti e amati, sempre.

sr Maria Giuseppina Pisano o.p.
mrita.pisano@virgilio.it

 

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