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Marco Pedron  

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Ascensione del Signore (Anno B) (24/05/2009)

Vangelo: Mc 16,15-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 16,15-20

15E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. 16Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. 17Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, 18prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

19Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.

20Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Oggi la chiesa celebra la festa dell’Ascensione. Quaranta giorni dopo Pasqua si celebra l’Ascensione di Gesù e cinquanta giorni dopo la Pentecoste (la festa di domenica prossima). Pentecoste vuol dire proprio cinquanta giorni.

Fino al V secolo vi era un’unica festa: la resurrezione di Gesù, che comprendeva anche l’Ascensione e la Pentecoste. Dall’unico evento della Resurrezione, successivamente, sono nate le tre feste. Ma sono un unico evento: Gesù è morto e risorto, è istantaneamente salito al cielo e rimane in mezzo a noi non più fisicamente con il suo corpo mortale ma con il suo corpo spirituale, che è lo Spirito Santo. Allora tre feste perché tre sono le sfaccettature, ma l’evento è unico: la resurrezione.

Gesù è vivo? Sì: Gesù non è rimasto nella morte, ma è vivo (Resurrezione).

E dov’è adesso Gesù? Gesù è salito al cielo (cioè è in Dio) e lascia a noi il compito di proseguire la sua opera.

E ci lascia soli? No, perché è presente in mezzo a noi con il suo Spirito (Pentecoste).

Una cosa simile possiamo viverla quando una persona cara ci muore. Anche se non la vediamo più, la sentiamo viva (resurrezione). Ma dov’è? Siamo sicuri che da qualche parte ci sia, anche se non sappiamo dove. Non di certo sulla terra perché fisicamente non c’è più. Quindi dove può essere? In cielo (Ascensione)! E anche se non lo vediamo più con gli occhi fisici lo sentiamo chiaramente presente in noi e nelle nostre giornate come una presenza invisibile, come un angelo, che ci custodisce, che ci accompagna, che ci aiuta, che ci sostiene (Pentecoste).

L’Ascensione come la descrive Mc è mai avvenuta, sì o no? No! Queste righe di Mc sono successive (infatti in alcuni codici antichi non ci sono e il vangelo si chiudeva prima). Mc poi dipende da Lc, che è l’unico che ci racconta l’Ascensione. Tutti gli altri scrittori (Giovanni, Matteo, Paolo, Pietro) non parlano di un avvenimento visibile, ma invisibile.

Ma perché allora qui Mc descrive fisicamente l’ascensione? Quando moriva un grande personaggio (Eracle, Empedocle, Romolo, Elia, Enoch, Alessandro Magno, ecc.) veniva raccontato che non era morto ma che era salito al cielo. La sua fine era gloriosa, non moriva e lasciava ai suoi discepoli gli ultimi suoi messaggi. Era un modo per dire che quell’uomo era stato così grande da non morire mai, che non sarebbe mai morto.

Queste righe, allora, non sono una descrizione fisica di ciò che è successo, ma teologica. Vogliono dire: “Io non ci sono più; ma ci siete voi. Io non parlo più se non attraverso voi e non opero più se non attraverso voi. Voi siete le mie labbra, le mie mani, i miei piedi, i miei occhi e il mio cuore. Io sono nel mondo attraverso di voi”.

Per due volte il vangelo sottolinea l’andare (16,15.20) e per due volte il predicare (16,15.20). “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” (16,15) e “Allora essi partirono e predicarono dappertutto” (16,20).

Chi c’era prima che andava dappertutto? Chi era prima il maestro e predicatore? Gesù, ovvio. Ma adesso Lui non c’è più e manda i suoi discepoli. Loro sono i nuovi Gesù. E osservate: “In tutto il mondo... ad ogni creatura... dappertutto”: il vangelo (eu-anghelion=buona/bella notizia) è per tutti.

Cos’aveva fatto Gesù? Mentre i religiosi ebrei dicevano: “Questi sì e quelli no; questi sono buoni e quelli cattivi; questi sono degni e quelli no; questi in paradiso perché puri, quelli all’inferno perché impuri (donne, peccatori, pubblicani, pastori, pescatori, lebbrosi, ammalati, usurai, ecc.)”, Gesù invece diceva: “Io vado da tutti. Io non guardo in faccia nessuno, non guardo la carta d’identità, io guardo il cuore”. “Io ho un messaggio da proporre al tuo cuore, un messaggio di luce, di vita, d’amore, di riconciliazione, di pace, di verità. E vengo da te. Se lo accogli bene; se non lo accogli vado da un’altra parte. Ma Dio è per te e per tutti”. Per questo Gesù dice: “Andate da tutti, dappertutto, da ogni creatura”.

Una volta si leggeva queste parole pensando: “Bisogna convertire il mondo. Bisogna fare cristiano il mondo. Bisogna battezzare tutti”. Ma Gesù non voleva fare proseliti né seguaci. Gesù voleva solo portare il vangelo. Voleva dire: “Guarda Dio è dentro di te, tiralo fuori, fallo vivere, esprimilo. Non hai neppure idea di che forza, di che potenza, di che energia c’è dentro di te. Tu sei già di Dio, divino: io non vengo per aggiungerti qualcosa ma solo perché tu possa vedere, esprimere, renderti conto di ciò che sei e che puoi essere”.

E chi gli credeva guariva dalle malattie del corpo (ciechi, zoppi, lebbrosi, ecc.), guariva dalle malattie della vita (depressione, attaccamento, non voglia di vivere, paura di ogni cosa), guariva dall’aridità del cuore, dalla freddezza e dalla rigidità interna e diceva: “Adesso sì che sono me stesso. Questa sì che è vita! Questo è vivere!”. Alcuni di questi erano così “presi”, entusiasti, ”toccati” da questa vita nuova che lasciavano tutto (casa, famiglia, moglie, figli, lavoro, giudizio della gente) e lo seguivano. E dicevano: “Prima chiamavamo vita la morte. Questa sì che è vita!”. Ed erano così cambiati che perfino la morte la chiamavano vita vera.

Non si tratta di convertire tutto il mondo, ma di accettare che il Dio del vangelo è veramente il Dio di tutti, di quelli che credono e di quelli che non credono, di quelli vicini e di quelli lontani, dei buoni e dei non buoni, dei giusti e dei non giusti.

Cosa vogliono dire allora queste parole:

1. Dio è già in tutti. Non si tratta di metterglielo dentro ma di tirarlo fuori! Perché Dio è la possibilità di un incontro, di un’esperienza che tutti possiamo fare perché vive già dormiente in noi.

2. Nessuno ha Dio. Dio non è di nessuno: non è mio né tuo. Dio non è neanche della Chiesa cattolica: casomai la chiesa cattolica appartiene a Dio, non Dio alla Chiesa. Nessuno può dire: “Io so”, ma casomai: “Io vivo”.

La catechesi, la predicazione, non aggiungono niente, dovrebbero solamente far emergere, far risplendere la grandezza di Dio che vive “diverso”, unico, con una sua speciale forma, in ogni creatura che esiste.

E-ducare (ex-ducere) vuol dire lett. “tirar fuori”. In-segnare (in-signum) vuol dire invece “fare un segno, ferire”.

C’è qualcuno che pensa un po’ così: “Io so chi è Dio e te lo dico”. “No, amico: tutti abbiamo Dio (siamo di Dio!). Tu hai la tua esperienza e io la mia. Non darmi la tua ma aiutami a cercare la mia”. Dio non è una formula né una preghiera né una pagina di catechesi: Dio è una presenza. Educare a Dio vuol dire mettere ogni creatura in collegamento, in relazione, col Dio che già vive dentro di lei. Altrimenti facciamo imposizione: ti do la mia idea, un’immagine di Dio (piena tra l’altro delle mie proiezioni), e così facendo ti allontano dal tuo Dio.

Alexander Lowen racconta che un giorno tentò di spiegare a suo figlio chi fosse Dio. Ma suo figlio lo interruppe e gli disse: “Conosco già Dio!”. Allora il padre gli disse: “Ma che ne sai tu di Dio?”. Il figlio indicò alcuni fiori e disse: “E’ lì!”. Aveva sei anni, non aveva forse il concetto di Dio, ma lo sentiva dentro.

Anna, una ragazzina slums, delle baraccopoli, morta ad otto anni per la caduta di un albero, diceva: “Io conosco Dio, lo vedo tutti i giorni. E’ evidente che il signor Dio può assumere qualsiasi dimensione che gli piaccia, altrimenti non potrebbe sapere come vive una coccinella. O no?”. Non era cristiana, ma conosceva molto bene Dio! E quando la gente le diceva: “Ma perché non vai in chiesa?”. Lei diceva: “Io so che amo il signor Dio perché amo la gente, i gatti, i cani, i ragni, i fiori e le piante”. E quando morì disse: “Scommetto che il signor Dio mi fa entrare nel suo cielo”.

Leonardo Boff un giorno parlava con sua madre, quasi analfabeta, di Dio e, lui famoso teologo, tentava di spiegarle chi è Dio. Lei ad un certo punto lo guardò e gli disse: “Ma senti un po’ Leonardo, tu che sai tutte questo cose su Dio, perché sei sempre così triste se conosci Dio?”. E, Leonardo, si fermò, arrossendo, e appuntò nel suo diario: “Mia madre che non sapeva neanche scrivere, che non era mai andata a scuola, che sapeva sorridere e che aveva il cuore pieno d’amore, conosceva Dio molto più di me”.

Un giorno vedo un ragazzino fuori dalla chiesa e gli dico (in tono un po’ arrogante): “Che ci fai qui fuori?”. “Non posso andare in chiesa.”. “E perché non potresti?”. ”Perché ho litigato con mio fratello e non ho ancora fatto la pace. Gesù non vuole che io vada in chiesa; vuole che vada a far pace con mio fratello”. Quel bambino aveva più fede di me!

3. Noi siamo i nuovi Gesù. Lui non c’è più, ci siamo noi. Gesù ha vissuto un tempo storico, circa trentatre anni. Poi se ne è andato. Adesso ci siamo noi.

Il vangelo è chiaro: “Essi (cioè noi) partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano” (16,20).

Da una parte queste sono le ultime parole del vangelo di Mc: la storia di Gesù finisce e inizia quella della chiesa. Dall’altra, si vuol dire che Lui c’è, vive in noi, vive attraverso le nostre mani, i nostri piedi e le nostre labbra.

Operare (16,20) in greco è sin-energia: noi agiamo e Lui è la nostra forza.

Quante volte noi diciamo: “Ma tu Signore, di fronte a tutto ciò che succede, non fai proprio niente? Perché non intervieni? Perché non fai qualcosa? Perché non sistemi le cose?”, e ci arrabbiamo perché pensiamo che se gli stessimo a cuore lui interverrebbe e farebbe qualcosa.

Ma con l’Assunzione Dio non agisce più se non attraverso di noi, solo attraverso di noi.

Etty Hillesum nel suo Diario scrive (e scrive da Auschwitz): “Verrà un giorno in cui non saremo più noi a chiamare in causa le tue responsabilità e a dirti: “Dove sei Dio?”, ma sarai tu a chiamare in causa le nostre responsabilità e a dirci: “Dove sei, uomo?”.”.

Il nostro cristianesimo è ancora troppo bambino: chiediamo tutto a Dio (che faccia questo, che ci tolga il dolore, che ci cambi la vita, che cambi il mondo e gli altri, che ci mandi il miracolo o quello che ci serve). Siamo come i bambini che chiedono, chiedono, chiedono tutto alla mamma e al papà. Siccome sono piccoli hanno bisogno (e lo hanno davvero) di ricevere il biberon e la pappa pronta. Ma adesso siamo grandi e il nostro cristianesimo e la nostra fede dev’essere adulta.

Dio c’è? No, se pensiamo che Lui faccia ciò che noi dobbiamo fare, le cose al posto nostro. Dio in questo mondo non interviene più, non scende più. Non possiamo più appellarci a Lui.

Dio c’è? Sì, perché Lui è la forza che c’è in noi, la fiducia e la vita che ci abita, a cui possiamo attingere. Da questo punto di vista Lui è sempre con noi e lavora (sin-energia) con noi e attraverso di noi.

Poi c’è una frase: “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato” (16,15).

Per noi, che siamo giudicanti, il concetto di salvezza implica quello di condanna: o ti salvi o sei condannato, perso, morto; o vai in paradiso (salvezza) o vai all’inferno (condanna).

Ma per Gesù non era così: salvezza per Gesù era vivere alla luce del vangelo, cioè una vita vibrante, appassionata, dove la gioia si esprime, l’amore fluisce e scorre, la tristezza e il pianto escono, la voglia di cantare e di vivere si sprigionano, dove si va al di là di se stessi, dove insomma ci si sente vivi.

Questo per Gesù era credere: quando incontri Dio ti infiammi, bruci di vita. Prima eri freddo, di ghiaccio, morto, e poi ti riscaldi, ti sciogli e diventi terribilmente vivo.

Salvarsi, per Gesù, voleva dire salvarsi dal morire di ogni giorno, dall’essere spenti, dall’essere come morti che vivono. E condanna era non credere, cioè, non poter pensare o non riuscire ad essere così vivi.

Il vangelo poi chiude con i segni di coloro che credono (16,17).

Quando si guarda la vita dei Santi si dice: “Che uomini straordinari! Come hanno fatto a fare tutto quello che hanno fatto!”. E si rimane stupiti, meravigliati, come se fossero dei Superman, dei Supereroi. Ma invece è vero il contrario: non erano dei supereroi, ma noi che viviamo al di sotto delle nostre possibilità. Quello che hanno fatto loro è ciò che tutti possono fare e vivere.

Scacciare i demoni (16,17). Nel vangelo i demoni parlano e hanno voce. Sono tutte quelle voci (consce o inconsce), tutti quei schemi, quei programmi che ti uccidono, che ti fanno morire, che ti impediscono di volare.

“Così non si fa”. E chi l’ha detto? “Non deludermi”. E perché no? Non sono mica un tuo dipendente! “Devi essere una persona perbene”, che vuol dire: “Devi fare ciò che piace a me (genitore, società, ecc.)”. “Devi essere perfetto” (cosa detta): così noi ti accettiamo (cosa non detta). “Non si può avere tutto dalla vita”, che vuol dire accontentati, adattati, fatti andare bene le cose. “L’importante è la salute”, e così il resto non c’è (amore, vitalità, gioia, profondità). “L’amore fa soffrire”, così se non soffrono, alcune persone neppure credono di amare. “Se trovi la persona giusta”: l’unica giusta sei tu. Nessuna persona giusta, ma solo relazioni che si costruiscono.

Io posso scacciare tutte queste voci (schemi) che non vengono da me, ma da fuori di me (infanzia; introiezioni). Gli schemi sono solo schemi: si possono cambiare, eliminare o sostituire. Tutti i giorni per andare a Padova prendo l’autostrada; ma si può anche cambiare e prendere, ad esempio, la statale!

Parlare lingue nuove (16,17). Avete mai udito i nostri discorsi? Di cosa parla la gente? Del tempo, di ciò che ha fatto il vicino, il collega, il capoufficio, dell’ultimo gossip; e poi tante “ciaccole”, insinuazioni, discorsi già stampati, nulla di personale, nulla che abbia un anima. La gente poiché parla crede di comunicare, di esprimersi. Ma ci sono migliaia di linguaggi! Quali sono le lingue nuove di cui si parla qui?

Il linguaggio del silenzio: “Ti ascolto”. Faccio silenzio e ti ascolto. Ascolto le tue parole e il tuo cuore. Ascolto la natura, il canto degli uccelli, il mio cuore che batte o il mio respiro.

Il linguaggio degli occhi: “Ci fermiamo e ci guardiamo negli occhi”. Perché gli occhi sono lo specchio dell’anima.

Il linguaggio del corpo: abbracci, carezze, baci, coccole, contatto.

Il linguaggio del cuore: dirsi, esprimere le proprie emozioni, le proprie paure, i propri bisogni e desideri.

Il linguaggio dell’anima: piangere di gioia, commuoversi, stupirsi, meravigliarsi, essere felici.

Le persone neppure sanno quale vibrazione, vita, energia, forza, danno queste parole, che non sono “parole”.

Prendere in mano i serpenti (16,18). Il serpente è pericoloso, a volte mortale.

Quante volte evitiamo le cose perché ci sembrano come un serpente: ci fanno paura, crediamo che non ce la faremo, che è troppo grande per noi, che è troppo pericoloso. Invece è solo paura.

“Con me si può tutto”, dice il Signore. “Prendi in mano ciò che ti fa paura!”.

Sento mio marito lontano: prendi in mano il problema e affrontalo. “Ma se poi scopro che ha un’altra? E se mi dice che non mi ama più?”. Hai tutta la forza per prendere in mano questa “patata bollente”.

Andare in chiesa non ti dice più nulla: affronta la questione. Perché tiri avanti e te la fai andare bene?

C’è qualcosa che non va nella tua sessualità: prendi in mano la questione. “Ma è difficile; ma mi vergogno”: hai tutta la forza per farlo. Lui è con te, lavora (sin-energia) con te.

Devi dire una cosa ad uno: fallo, cosa aspetti! “Ma non so come reagirà! Ma ho paura di fargli male (questa è una bugia atroce!)! E poi?”. Hai tutta la forza per farlo.

C’è una questione scottante, difficile, che ti fa paura? Prendila in mano, Lui è con te. Se tu guardi al problema, non c’è speranza! Ma se tu guardi alla forza che c’è in te, allora tutto si può affrontare.

E se berranno qualche veleno, non recherà loro danno (16,18).

Due fratelli: uno dei due sparla male dell’altro. “Ho provato a parlargli ma non ne vuole sapere. Cosa ci posso fare?”. “Niente!”. In ogni caso questo “veleno” non ti uccide.

Un parroco: alcuni gli dicono che è troppo buono, che lascia troppo spazio e che ci vuole più polso. Altri gli dicono, invece, che è un despota, che fa quello che vuole lui e che è un duro. E’ così!: non si può andare bene a tutti, ma un po’ di veleno non uccide.

Cioè: se sei buono ti tirano le pietre e se sei cattivo anche. Non ci si può proteggere dal giudizio degli altri. Saremmo sempre soggetti a giudizio, critica, osservazione, disapprovazione: ma possiamo imparare a disinteressarci e a fare la nostra strada al di là di tutto questo. E’ chiaro che a nessuno piace non essere capito; anzi a tutti fa male il veleno della critica. Ma Dio è più forte delle critiche delle persone.

Un ragazzo aveva una ragazza: pensavano di sposarsi, poi lei si è messa con un altro. Certo fa male: si era fidato ed è stato ferito. Ma nella vita ci può stare anche questo. Qualche veleno, qualche delusione, qualche ferita in amore capiterà, ma se sei ancorato nella Vita, la bevi, la mandi giù, ti fa soffrire, ma non ti uccide. Dio è più forte delle ferite d’amore.

Gli studiosi dicono che i “geni” utilizzano l’8% delle proprie potenzialità. Quelli normali il 2-3%.

Lui è asceso al cielo e adesso ci sono io qui sulla terra. Ma la stessa sua forza vive in me. Quello che ha fatto Lui lo posso fare anch’io. Se credo a questo, niente mi sarà impossibile. Ma se non credo a questo (“Ma chi ti credi di essere? Onnipotente! Sii realista, accontentati!”) nulla mi sarà possibile.

Non a caso Gesù disse: “Chi crede in me compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi perché io vado al Padre” (Gv 14,12).

Pensiero della Settimana

E’ comodo credere di non essere in grado
così si giustifica la propria incapacità.

 

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