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TESTO Poteri straordinari per uomini ordinari

Marco Pedron  

Ascensione del Signore (Anno B) (24/05/2009)

Vangelo: Mc 16,15-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 16,15-20

15E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. 16Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. 17Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, 18prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

19Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.

20Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Oggi la chiesa celebra la festa dell’Ascensione. Nei primi secoli vi era un’unica festa: la resurrezione-ascensione-pentecoste. Era un'unica festa perché rappresentava un unico evento. Solo nel corso dei secoli sono nate le tre feste che mettono in luce le tre diverse sfaccettature dell’unico evento resurrezione. Gesù non è rimasto nella morte, ma è vivo (Resurrezione); Gesù è salito al cielo e lascia all’uomo il suo compito e il suo progetto (Ascensione); Gesù è presente in mezzo a noi con il suo spirito (Pentecoste).

L’ascensione era un genere letterario del tempo. Era una forma narrativa per mettere in rilievo la fine gloriosa di un grande uomo. Il personaggio famoso rivolgeva le sue ultime parole al popolo, agli amici o ai discepoli. Conosciamo le ascensioni di Eracle, Empedocle, Alessandro Magno, Romolo, Elia, Henoch. Era un modo per dire che quell’uomo era stato così grande che non era neppure morto.

Il vangelo dice: “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo”. A volte nei secoli si è tradotto questa frase così: “Chi non ha il sacramento del battesimo non potrà accedere, andare, in paradiso”. E ci si poneva il problema dei bimbi non battezzati. Si diceva: “Non possono finire all’inferno, sono così ingenui! Ma non possono neppure andare in paradiso: non sono battezzati”. E si creò il limbo: una via di mezzo. Ma il battesimo non è l’assicurazione per l’eternità. Il battesimo è l’esplicitazione della realtà che siamo Suoi figli da sempre e che lo saremo per sempre. Un po’ come il matrimonio che sigilla, rende visibile, dichiara, l’amore tra due persone, ma non crea niente, non inventa. Il matrimonio consacra ciò che c’è, non fa magie, di nessun tipo. E se non c’è niente non consacra niente.

Nei primi secoli si veniva battezzati da adulti. Da un punto di vista rituale il catecumeno (colui che si era formato ed era pronto per il battesimo) dopo un lungo cammino di catechesi, di conoscenza e di approfondimento della fede, si spogliava (segno dell’uomo vecchio che finiva), entrava in una grande vasca (si immergeva: in greco immergersi è baptizein) e poi usciva e si rivestiva di una veste bianca (segno del cambiamento di vita). Da un punto di vista spirituale, il battesimo avveniva dopo un lungo cammino di fede. Un po’ come il matrimonio che avviene dopo un cammino di conoscenza, di approfondimento, di innamoramento. Il battesimo era una scelta profonda, forte: “Sì io voglio essere di Cristo (cristiano); sì, io voglio vivere in una certa maniera; sì io lo conosco questo Uomo e lo voglio seguire; sì io voglio vivere come Lui”.

Ogni scelta comporta un’attrazione e una responsabilità. Ogni scelta è una chiamata: c’è qualcosa che ti at-trae (che ti porta verso) e che ti dis-trae dal resto. C’è qualcosa che ti attira, che ti sussurra parole d’amore, che ti appassiona, che ti fa vivere, che ti dice: “Di qua”. Ogni chiamata è fondata sulla bellezza e sull’innamoramento: c’è qualcosa che senti tuo, che non puoi non seguire; c’è qualcosa che senti che ti fa finalmente vivere, vibrare: eri morto e adesso vivi. C’è qualcosa che ti fa essere veramente te stesso, che ti spinge e ti dà coraggio, che ti fa vincere le paure. E’ questa forza insita nella chiamata che diventa poi re-sponsabilità (ri-sposta alla chiamata), che ti fa affrontare le paure, le difficoltà, gli ostacoli, il giudizio, la solitudine. E’ questa forza enorme che ti fa compiere scelte radicali o che ti dà l’energia per non tirarti indietro. Molte persone non conoscono quest’innamoramento e non sono affatto attratti dal Signore. Come puoi sposare una donna che non ami? Come puoi seguire il Signore se non ne senti la bellezza? Molte persone seguono il Signore per tradizione (gli è stato passato; si è sempre fatto) ma non per attrazione. Non c’è una forza, un’energia interna, personale. C’è qualcosa di esterno, di ricevuto dagli altri. Ma sposare una donna imposta non può dare felicità.

Allora la grande domanda che mi pongo è: “Ma il Signore mi fa vibrare l’anima? Mi appassiona? Sento che la sua vita risveglia la mia vita, che è come l’aria per i miei polmoni?”. E se sento che la sua presenza è insignificante mi chiedo: “Ma che Dio conosco? Com’è possibile che abbia affascinato milioni di uomini e che sia insignificante per me? Non è che conosco un Dio che non è Dio?”. Oppure mi chiedo: “Ma se Lui è Vita, non è che il mio cuore sia morto o freddo? Non è che io abbia chiuso tutte le porte per cui non sto rifiutando Lui ma la vita stessa?”. Per buona parte della nostra società la fede è un corollario dell’esistenza perché non se ne percepisce la bellezza, l’innamoramento, la forza, la vitalità. Allora è chiaro, ovvio: non serve, ma non può servire. Molte persone non hanno mai detto: “Sì; sì lo voglio; eccomi”. Non c’è stata una scelta e non c’è la forza che ne deriva dalla scelta, dal canalizzare le forze in maniera unitaria. Dio ti appassiona? E chieditelo nella verità della tua coscienza. Nel profondo del tuo cuore, lo hai scelto davvero? Questo è il battesimo, sceglierlo, dirgli si “sì”.

La realtà di cui parla il vangelo è la nostra realtà.

A tutti noi piacerebbe che questo mondo fosse un’oasi di pace e di tranquillità. Ma l’Eden non esiste più. La realtà è una realtà anche conflittuale, dura, di scontri, nemici e difficoltà. Qui si parla di demoni, serpenti, veleni e malattie. Il Risorto non ci garantisce che non avremo difficoltà, problemi o situazioni critiche. Il Risorto ci garantisce che avremo la forza di affrontarli. Lui è in noi e con Lui tutto è affrontabile. E viceversa non affrontare la realtà, evitarla, tentare di sorpassarla, di eluderla o di nascondersela è non credere in Lui e in Dio.

Scacciare i demoni: chi di noi non sente in certi giorni le mille voci demoniache che gli abitano: “Cosa pensano gli altri? Come devo essere per essere accettato dagli altri? Sei sbagliato. Sei il solito. Sei un fallito. Se gli altri sapessero! Non cambi mai! Ci sei ricaduto un’altra volta! Non ce la fai. Sei come tua madre!, ecc ”. Il Risorto non ci assicura che non sentiremo mai queste voci ma ci garantisce che Lui è con noi.

Un demonio tremendo è “mai”: “Non ce la farò mai; non imparerò mai; non troverò mai la persona giusta; non cambierò mai; non faccio mai niente di giusto”.

Uno simile è il demonio “sempre”: “Sono sempre il solito; sempre lo stesso; ricado sempre; non mi muovo mai sono sempre qui; ecc”. Se io ascolto questi demoni mi siedo, mi rassegno. Allora io ho bisogno del Signore, di sentire la sua forza: “Provaci; non è vero che non ce la fai mai o che ricadi sempre; dai, coraggio; a volte ci riesci; ritentaci”.

Poi c’è il demonio “prima” e il demonio “dopo”. “Pensa sempre prima agli altri; il peggio deve ancora venire; quando sarai sposato, lavorerai, studierai, vedrai che dura...; lo faccio dopo”. Il demonio “prima” mi mette sempre in secondo piano: ci sono sempre prima gli altri e io non ci sono mai per me. Il demonio”dopo” mi incute paura, mi fa vedere che dopo sarà terribile, tremendo. Ma io so che il Signore è con me e che dopo mi aiuterà tanto quanto mi ha aiutato finora. E poi mi fa vedere come un incapace: rinviando a dopo mi fa sentire pigro, mi fa sempre posticipare le cose da fare. Allora sento la voce di Gesù che mi dice: “Non dopo, adesso. Adesso, lo puoi. Ci sono io, adesso sei capace di farlo”.

Il demonio “sii perfetto” è tremendo: “Non puoi sbagliare; guai a te se fai degli errori; una brava madre non sbaglia mai; non te lo puoi permettere; cosa diranno gli altri se sbagli, se cedi, se non ce la fai?”. Questo demonio mi dà un’ansia enorme. Allora io sento la Sua voce che mi dice: “Se sbagli, pazienza; puoi sbagliare anche tu, sei umano; non puoi fare o arrivare a tutto; nulla di grave se non ce la fai; puoi anche essere debole; non devi sempre dare una buona impressione”.

Il demonio “sbrigati” (demonio che vive soprattutto nel Veneto) dice: “Le cose si fanno bene e in fretta; non rimandare a domani quello che puoi fare oggi; non c’è tempo da perdere; chi ha tempo non perda tempo; bene e in fretta; l’ozio è il padre dei vizi”. Questo demonio ti fa sentire che, per quanto fai, non basta mai. C’è sempre dell’altro da fare e puoi sempre fare di più. Allora non vado mai bene; allora non posso mai essere contento di me; allora mi distruggo, mi sfinisco, non riesco ad accettare che anch’io ho dei limiti. La Sua Voce dice invece: “Fai quello che puoi fare; non chiederti più delle tue forze; assapora ciò che fai e siine felice; accetta di non poter far tutto; chi va piano va sano e lontano”. Se io ascolto la Sua Voce allora i demoni iniziano a non aver più così tanta forza, a non dilaniarmi più così tanto. Se sento la Sua Voce la voce dei demoni si fa meno forte.

Parlare lingue nuove: Avete mai udito i nostri discorsi? Di cosa parla la gente? Del tempo, di ciò che ha fatto il vicino, il collega, il capoufficio, dell’ultimo fatto e poi ciaccole, insinuazioni, discorsi già stampati, nulla di personale, nulla che abbia un anima. La gente, poiché parla, crede di comunicare, di esprimersi. Ma ci sono migliaia di linguaggi! La parola è un linguaggio che la società ci ha insegnato per comodità: pensate che difficile sarebbe rapportarsi senza di essa. Ma non è il linguaggio più importante; anzi nell’evoluzione è un derivato dal grido, dal canto!

Il linguaggio del silenzio: è la lingua dove tu ti fermi, ti ascolti, entri in comunicazione con te per ascoltarti e con gli altri per poterli ascoltare. Se non ce l’hai (il silenzio) non sai neppure comunicare, ma ti parli solo addosso. Se ascoltassimo di più noi stessi e le nostre esigenze ci ammaleremo di meno. Se ascoltassimo di più nel silenzio i nostri figli sarebbero più felici. Se usassimo di più il silenzio potremmo capire chi siamo. E invece spesso parliamo sempre e di continuo proprio perché abbiamo paura del linguaggio del silenzio. Il silenzio (dentro e fuori) è la condizione imprescindibile per accogliere la parola, la Sua Parola e ogni parola. Perché se non c’è, se c’è qualcun altro che parla non si può ascoltare!

Il linguaggio degli occhi: è il linguaggio dell’anima, è il linguaggio dell’incontro delle anime. E’ il linguaggio con cui le persone si guardano dentro, si svestono, si spogliano, si mettono nudi uno di fronte all’altro. I nostri figli noi “li guardiamo” e intendiamo che li controlliamo e osserviamo se vengono su bene. Ma perché non li guardiamo negli occhi? Se li guardessimo potremmo vedere se sono felici o no. Se ci guardessimo negli occhi potremmo incontrarci. Non ci guardiamo negli occhi perché abbiamo paura di cosa l’altro vedrà dentro di noi, perché vogliamo mascherarci, perché vogliamo nasconderci. Ma se ci guardessimo negli occhi, senza fretta, con calma, con tutto il tempo che ci serve, potremmo vivere l’intimità.

Il linguaggio del corpo: l’abbracciarci, l’accarezzarci, l’entrare in contatto (senza possedere o prendere) con la realtà del corpo dell’altro. Il corpo non mente. Perché non accarezziamo i nostri figli? Perché non sostiamo nel contatto con loro? Temiamo il risvegliarsi di impulsi sessuali? Temiamo ciò che proviamo? Se ci coccolassimo di più potremmo sentirci più amati. Perché i grandi non si coccolano? Perché gli adulti non hanno bisogno di “smancerie”? Non ne hanno bisogno? O non è che questo ci fa sentire bisognosi, vulnerabili, e noi non lo vogliamo? Perché siamo così attenti alle parole e non osserviamo mai, ad es., il corpo o le espressioni del viso (metacomunicazione) che dice molto di più di tutte le nostre parole? Se osservassimo il nostro corpo (postura, tono di voce, movimenti, gesti impercettibili, ecc) finché parliamo scopriremmo molte cose di noi, anche se a volte alcune non piacevoli.

Il linguaggio del cuore: dirsi cosa si ha dentro, manifestare le proprie emozioni, non vergognarsi di nulla anche di quello che non è edificante. Perché non ci raccontiamo cosa desideriamo? Cosa ci fa paura? Cosa ci attrae e cosa ci preoccupa? Se parlassimo il linguaggio del cuore ci potremmo sentire umani. Perché la gente ti racconta di tutto ma non parla mai di sé?

Il linguaggio dello stupore: perché non ci commuoviamo? Perché non piangiamo di gioia? Perché non ci lasciamo andare all’entusiasmo? Perché non ci concediamo di essere pieni di felicità come i bambini? Perché ci vergogniamo così tanto di fare vedere le lacrime? Se parlassimo il linguaggio dello stupore impareremmo ad accettarci ed accoglierci per quello che siamo, così come siamo.

Ti piace pane e nutella. Bene! Ne mangi oggi, domani e dopo domani. Ma se mangi pane e nutella sempre e solo quello, sai cosa ti accadrà? Che ti ripugnerà; che crederai che mangiare sia una noia, un dovere, uno sforzo. Ma ci sono mille cibi! Ci sono mille linguaggi. Scopri altri sapori e scoprirai quanto sia grande la “cucina della vita”. Scoprirai che la vita è un pranzo davvero saporito e ricco. Ma se mangi sempre “parole” ne avrai solamente nausea.

Prendere in mano i serpenti. Un uomo sta scoprendo di aver agito sempre per paura, in tutte le cose. Lui lo chiama “senso del dovere, precisione” ma in realtà è paura di deludere, paura di fare qualcosa autonomamente e di prendere le responsabilità delle sue scelte. Quando deve andare a cena dagli amici chiede alla moglie: “Come mi devo vestire?”. Quando il figlio gli chiede qualcosa lui risponde: “Chiedi alla mamma”. Quando qualcuno gli chiede cosa vuole, lui risponde: “A me va ben tutto”. Non è disponibilità; non è bontà, è che manca la personalità. E’ diverso! E scoprire che la “nostra bontà” è paura non è come affrontare un serpente?

Una ragazza avverte di avere una rabbia enorme che sfoga mangiando. Non vorrebbe abbuffarsi così tanto ma l’impulso è irrefrenabile. Sente che dovrebbe aprirsi parlarne con qualcuno ma si vergogna. Non è come prendere in mano un serpente il farlo? Non è qualcosa che non vorremmo che ci fosse?

C’è una coppia, entrambi vanno in chiesa e sono due personalità molto presenti in parrocchia. Il loro rapporto sembra buono, è molto stimato dalla gente in giro. In realtà non funziona perché lui è dominante, si impone verbalmente, fisicamente e sessualmente. Nessuno lo sa, chiaramente! E provare ad affrontarlo non è come prendere in mano un serpente?

Il serpente morde, attacca e il suo veleno può essere anche mortale. E’ il simbolo del pericolo e di ciò che ci fa paura. Ci sono delle situazioni che veramente ci fanno una paura atroce e che mai vorremmo affrontare o metterci davanti. Ma dobbiamo farlo. Invece di far finta di niente, di rimuoverle, di nascondercele, dovremmo affrontarle. Chi ha fede in Dio può con-frontarsi, af-frontare, ogni cosa. Chi ha fiducia in Dio non teme di prendere in mano i serpenti perché sa che Dio è più forte dei serpenti, perché sa che, ancorati su di Lui, questi “serpenti” possono perfino essere presi in mano.

Bere i veleni, senza averne danno. Nella vita non ci si può proteggere da tutto. Un amico è direttore di cori. Nel primo coro che ha diretto gli era sempre rimproverato che lui lasciava troppo spazio, troppa libertà, che ci voleva più polso. Così nel secondo si è posto in maniera più decisa, con più polso. E qui gli è stato rimproverato di essere troppo duro, despota, che fa quello che vuole lui. Adesso ha deciso di fare quello che sente senza ascoltare gli altri! Cioè: se sei buono ti tirano le pietre; se sei cattivo ti tirano le pietre. Non ci si può proteggere dal giudizio degli altri. Saremo sempre oggetti di giudizio, di critica, di osservazione: ma possiamo imparare a disinteressarci e a fare la nostra strada al di là. Anche se è chiaro che a nessuno piace non essere capito; anzi a tutti fa male il veleno della critica. Ma Dio è più forte delle critiche delle persone.

Un ragazzo è stato insieme con una ragazza. Già pensavano di sposarsi, poi lei lo ha tradito e lo ha lasciato. Certo fa male: si era fidato ed è stato ferito. Ma nella vita ci può stare anche questo. Qualche veleno, qualche delusione, qualche ferita in amore capiterà, ma se sei ancorato nella Vita, la bevi, la mandi giù, ti fa soffrire, ma non ti uccide. Dio è più forte delle ferite d’amore.

Il titolare di un’azienda, aiutato da altri dipendenti, ha fatto un’opera di pressione (mobbing) su una sua dipendente rimasta incinta, finché questa ha dovuto licenziarsi. E’ chiaro che ci ferisce profondamente; è chiaro che l’ha fatto solo per interesse; è chiaro che è come ricevere una pugnalata alle spalle o bere un veleno. E’ chiaro che una cosa del genere ti avvelena il sangue. Ma che si fa? Lo si manda giù, lo si soffre e lo si digerisce. Vuoi che un fatto determini tutta la tua vita? Dio è più forte dell’ingiustizia del tuo capo.

Ci sarà sempre una battutina cattiva, una parola calunniosa, qualcuno che si prenderà gioco di noi, che ci umilierà, che ci farà del male. Ci sarà sempre qualcosa nella vita che ci avvelenerà le giornate o che ci farà arrabbiare. Ci sarà sempre qualcuno che con il suo gratuito pettegolezzo avvelenerà la nostra immagine. Ci sarà sempre qualcuno che avrà da dire su di noi. Un po’ di veleno, tutti noi, dovremmo berlo. Ma chi è ancorato su Dio, anche se berrà qualche veleno, non lascerà l’impresa, non si distoglierà dal suo cammino, non permetterà che tutto questo inacidisca o indurisca il proprio cuore e la propria anima. A nessuno di noi piace tutto questo e tutti noi vorremmo evitare i veleni, ma non è possibile. Chi è ancorato in Dio, però, non morirà nel proprio cuore.

L’Ascensione è il momento in cui Gesù Cristo ascende al Padre, il momento del ritorno, della meta della sua esistenza e del suo viaggio. In questo senso Gesù ci lascia in mano il destino e la responsabilità nostra e del mondo: “Io non ci sono più, adesso ci siete voi. Io ci sarò con il mio Spirito, come Forza, Energia, Presenza. Ma adesso tocca a voi”. E, infatti, il vangelo di Gesù (16,20) si conclude e si apre il vangelo degli apostoli: “Allora essi partirono e predicarono dappertutto”.

Gesù è asceso al cielo perché è disceso nella terra, e vi è disceso fino in fondo. Questo è il cammino di ogni uomo.

Battesimo, tabel (t-b-l) in ebraico, vuol dire “immergersi”. In questa parola vi è contenuta la parola tob (t-b) “compiuto”. Il tob è ciò che siamo in pienezza ma non è possibile raggiungerlo se non discendiamo nelle acque del Giordano. Il cammino dell’uomo è nient’altro che un “rivolgersi” tasub (t-b-s), un andare, un convertirsi, verso ciò che può essere. E questa è la grande e unica penitenza, tesubah (t-b-s-h). Questo mi aiuta a cogliere che il vero essere cristiani è discendere in tutta la mia umanità, nelle mie acque sporche del Giordano (era il fiume dove la gente andava a purificarsi dai propri peccati) per iniziare, partendo, da qui (meta imprescindibile) un cammino di ascesa. Questa è la vera umiltà e la vera penitenza (e conversione, sub): prendermi nella mia realtà e da questa realtà, qualunque essa sia costruirmi. Chiunque voglia fare il divino senza fare l’umano fallirà. Chi vuole ascendere al cielo senza discendere nella terra fallirà. Il vero battesimo è discendere (yared, discendere) nella acque del Giordano (yareden). Il vero battesimo è discendere nelle profondità, nelle bassezze della propria vita e iniziare un cammino di ascensione verso l’alto, verso ciò che possiamo essere, verso Dio.

Il nostro corpo è il nostro destino. Per la Bibbia noi siamo creati ad immagine di Dio e dobbiamo diventare sua somiglianza. L’immagine dice ciò che siamo in potenza, la somiglianza dice quello che possiamo essere grazie alla nostra opera. L’uomo è piantato a terra con i piedi: i piedi sono il seme di ogni cosa, racchiudono tutto ma tutto deve ancora nascere (patrimonio genetico). Le sue gambe rappresentano i genitori che come delle stampelle (due) lo tengono su. Poi (la Bibbia la chiama la porta degli uomini) vi è la vera nascita: quando l’uomo attinge alla sua forza e inizia a verticalizzarsi, a costruire la propria spina dorsale, il proprio cammino, la propria vita. E solo qui potrà veramente agire e creare qualcosa di unico per sé e per questo mondo (qui, al termine della colonna vertebrale ci sono le braccia). Solo un uomo cresciuto (Gn 1,28: “Crescete e moltiplicatevi”, non nel fare figli ma nel divenire sempre più voi stessi!) può dare e creare qualcosa di fecondo. La testa è il cammino sommo del nostro ascendere e i capelli non sono nient’altro che le nostre radici in Dio.

Questo è il grande cammino, esodo (dalla schiavitù di ogni Egitto verso la libertà della terra promessa, di ciò che puoi essere) di ogni vita. Cammino costellato di pericoli, passaggi, imprevisti, cadute e ripartenze.

L’Ascensione, allora, è un richiamo forte al mio cammino di vita: mi sto facendo? Mi sto costruendo? Sto diventando compiuto, ciò che sono, ciò che posso essere? Sto diventando sempre più me stesso (ascendere) e quindi mi sto sempre più avvicinando a Dio (l’Alto)? Perché tu puoi aver fatto di tutto nella vita, cose belle, religiose, figli o quant’altro, ma se non hai compiuto (cioè non ti sei verticalizzato, se non hai compiuto la tua opera, quella per cui sei stato creato, per cui ci sei) il tuo cammino di vita, se non ti sei costruito, allora hai mancato al tuo obiettivo di vita. L’Ascensione non è solo ciò che Dio farà con ciascuno di noi un giorno quando ci porterà fra le braccia del Padre dove potremo stare al sicuro e protetti, ma è anche ciò che io, come il Cristo, sono chiamato a compiere. E’ il mio compiermi in questo mondo e in questa esistenza. La meta della vita è poter dire, come Gesù: “Tutto è compiuto” (Gv 19,30). Cioè: mi sono costruito, sono diventato ciò che dovevo diventare, ho compiuto il mio viaggio, sono asceso verso il Padre e adesso il Padre (io ho compiuto tutto il mio cammino) viene a prendermi.

Per un esame (il libro era veramente un volumetto di poche pagine, circa un centinaio) preparai tesine e approfondimenti vari. In effetti quando le presentai al professore feci una figura ottima. Ma quando fui interrogato sul testo (che era pure semplice e molto comprensibile) feci scena muta. Avevo fatto tutto il corollario, il periferico e anche di più, ma non l’essenziale, il centrale. E’ un grande rischio: fare di tutto ma non ciò che serve. Se non ascendi verso l’alto (che vuol dire discendere dentro di te), se non compi l’unica cosa che tu puoi fare (crearti) hai fallito.

Pensiero della Settimana

Nessuna ascesa al cielo per chi non scende nella terra.

 

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