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TESTO Commento su Giovanni 10,11-18

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IV Domenica di Pasqua (Anno B) (03/05/2009)

Vangelo: Gv 10,11-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Il Vangelo che leggiamo oggi è notissimo e suscita in tutti noi ricordi che risalgono al primo catechismo, alle prime esperienze sulla parola di Gesù.

Cosa può esserci di nuovo, quale insegnamento ne possiamo trarre che già non sia stato reso evidente?

Il Pastore buono, che ama le pecore, infonde in tutti noi un senso di fiducia. Proviamo ammirazione per il Pastore che dà la sua vita per le pecore. C’è un Pastore che ci cura, siamo a posto, non ci sono più problemi...

Ma abbiamo mai visto, noi cittadini, come si muove, come agisce un gregge di pecore? Avete mai fatto caso che si muovono quasi tutte all’unisono, tutte in gruppo, specie in presenza di un ostacolo o di un pericolo. E sempre seguendo il pastore, riconoscendone la voce, seguendone il passo. Se vi è capitato si attraversare in auto un gregge, che si sta spostando sulla via asfaltata, lo avrete visto aprirsi a stento davanti a voi e richiudersi immediatamente alle vostre spalle.

E ora guardiamo un po’ dentro di noi, dentro le nostre comunità e le nostre famiglie e facciamoci una domanda fondamentale: che gregge siamo?

Se da un lato Gesù si propone come Pastore buono, attento, premuroso, dall’altro ci pare chiedere con decisione che noi si sia un gregge mansueto e fedele.

Non ci chiede di essere “pecore”, ma gregge, sostegno reciproco, unità di intenti e di meta.

Che gregge è la nostra comunità e, soprattutto che gregge è la nostra famiglia o la nostra coppia? Seguiamo il Signore come un gregge o come pecore sparse?

Gesù, “testata d’angolo”, “pietra angolare scartata dai costruttori”, non ci chiede leonini slanci di eroismo, ma di essere docili e fedeli pecorelle, che si muovono insieme, che viaggiano insieme al suo seguito, che ascoltano ogni momento la sua voce, ne seguono il richiamo.

Quanta differenza tra il pensiero e l’azione, l’insegnamento di Gesù e la nostra applicazione. Non ci riesce di essere gregge, non pecore, ma gregge. La pecora da sola ha tutti i limiti che la consuetudine popolare le attribuisce: timorosa, pavida, imbelle. Il gregge, fedele e coeso, ha forza, fedeltà, fiducia nel Pastore e in se stesso. Ma tant’è...

Siamo pecore e ci affanniamo a ruggire, ma senza l’aiuto del Pastore esce solo un flebile belato.

Per la revisione di vita:

- Quando ci siamo sentiti al seguito di Gesù perché parte di una comunità in cammino?

- Come manteniamo unito il “gregge” della nostra famiglia o della nostra comunità? Con che mezzi?

- Quando ci siamo sentiti “pecore smarrite” isolate dal gregge più che abbandonate dal Pastore?

Commento a cura di Gloria e Riccardo Revello di Genova.

 

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