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TESTO Il giudice fedele

don Fulvio Bertellini

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (21/10/2007)

Vangelo: Lc 18,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 18,1-8

In quel tempo, Gesù 1diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 2«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. 4Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, 5dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». 6E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Totalità

La preghiera della vedova viene alla fine esaudita perché essa dedica tutta sé stessa alla causa. Che per lei è questione di vita o di morte. Possiamo immaginare ad esempio una causa ereditaria: morto il marito, i parenti di lui reclamano le proprietà. I figli del morto sono piccoli e senza tutela, non possono lavorare: i parenti possono così impadronirsi del campo del morto, con il pretesto che almeno può essere lavorato. La vedova intuisce che è la prima mossa per escludere lei e i figli dalla terra che le spetta, e le sue paure vengono confermate quando, al termine del raccolto, le viene data una parte molto inferiore al dovuto. E qui entra in gioco il ricorso al giudice. Si tratta, come spesso accade nel mondo antico, di un giudice corrotto. Che pensa a fare i suoi affari, e non ad amministrare la giustizia. Ciò che lo smuove alla fine è soltanto l'insistenza della donna, che pazientemente, giorno dopo giorno, reclama giustizia per sé, per i figli, per il marito morto. Ma che cosa spinge la vedova ad una simile perseveranza? Certamente, il fatto che da quella causa dipende la sua vita.

Pregare sempre

L'evangelista orienta la nostra comprensione della parabola, dicendo che è stata raccontata "sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi". Invita quindi a concentrare la nostra attenzione più sulla vedova che sul giudice, che a prima vista è il personaggio più rilevante. Ma la parola chiave è "poiché questa vedova è così molesta, le farò giustizia". Mi pare che il lettore sia invitato ad identificarsi con la vedova, facendo di lei il modello di una preghiera perseverante e fiduciosa, totalmente abbandonata a Dio. Che d'altra parte verrebbe a trovarsi nella condizione del giudice disonesto. Possibile che Dio venga paragonato a un personaggio corrotto e crudele?

Chi è Dio

L'evangelista eredita da Gesù tutta la sua freschezza e libertà di linguaggio. Leggendo le parabole vediamo come il suo sguardo si posi con simpatia e partecipazione su ogni realtà terrena, fino ai fatti più sconcertanti dell'economia e della società, e da ogni fatto emerge un riferimento al Regno di Dio, un invito alla conversione. Dio ai nostri occhi effettivamente può apparire come il giudice disonesto, quando ci sembra che le nostre preghiere non vengano esaudite, quando ci sembra che la nostra speranza sia vana. Gesù rovescia completamente questa nostra sensazione: "Credete davvero che Dio non faccia giustizia? Credete davvero che faccia aspettare i suoi eletti?". Anche noi comprendiamo che non può essere così. Ma d'altra parte, guardando a ciò che accade nel mondo, non possiamo fare a meno di pensare che Dio stia in qualche modo "aspettando" un po' troppo...

Il problema della fede

La domanda sulla fede riapre il discorso e spiazza l'ascoltatore. La prospettiva dell'attesa richiama il tema del "ritorno" del Figlio dell'uomo. Ci sarà abbastanza fede al ritorno di Gesù? Saremmo davvero tutti in grado di resistere alla sua presenza di amore? O ci troveremmo ad essere nella posizione di "giudici iniqui", persone che tardano a convertirsi per fare giustizia? Forse l'aspettare di Dio è un atto di misericordia a nostro favore. Perché tutti abbiano tempo di cambiare vita...

Flash sulla I lettura

"In quei giorni, Amalek venne a combattere contro Israele a Refidim": il brano si colloca nella sezione intermedia del libro dell'Esodo, tra la liberazione dall'Egitto e il dono della Legge e dell'Alleanza al monte Sinai. Il cammino nel deserto per arrivare al Sinai è faticoso e pieno di pericoli: fame, sete, popolazioni ostili. Dio che ha liberato il suo popolo deve prendersi cura di lui: saziare la sua fame, liberarlo dalla sete, salvarlo dai nemici.

"Mosè disse a Giosuè...": l'iniziativa parte da Mosè, servo di Dio. Il popolo non ha una sua iniziativa autonoma, non parte per la sua guerra eroica: è Dio stesso che dispone come salvarlo, scegliendo un gruppo ristretto: "Scegli per noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalek... "

"Domani io starò ritto sulla cima del colle con in mano il bastone di Dio": è lo stesso bastone che Mosè portava al momento del passaggio del Mar Rosso. Il valore simbolico è identico: la salvezza viene unicamente da Dio, è lui che può liberare il popolo.

Sembra un brano lontano dalla nostra sensibilità attuale. Come può Dio mettersi a fare il guerriero? Stare con un popolo e condannare l'altro? Ma la prospettiva biblica non è quella del pacifismo generico e teorico. Chi ascolta al parola di Dio sa guardare in faccia i veri problemi della storia. La mafia, il terrorismo, le violenze tra i popoli, ma anche fenomeni molto più circoscritti come il bullismo nelle scuole, sono tutte realtà che interpellano la coscienza del cristiano, e a cui è necessario dare una risposta, in qualche modo. Anche nel nostro mondo i cristiani sono chiamati ad una vera e propria "lotta", in alcuni casi contro entità che appaiono ben superiori alle loro forze. Il brano invita a fidarsi di Dio: a lui appartiene la vittoria. Ma non dimentichiamo che Gesù ha vinto il mondo accettando la croce... la sua è la vera e definitiva vittoria contro il male.

Impariamo a pregare con il salmo

Alzo gli occhi verso i monti:
da dove mi verrà l'aiuto?

Il salmo 120 si presenta a due voci: innanzitutto un "io" che parla, e che con umile sicurezza proclama la propria fiducia in Dio. La domanda "da dove mi verrà l'aiuto" non è una domanda retorica, ma mette in evidenza la sproporzione tra ciò che attende il salmista e la debolezza della sua persona. Ma da Dio verrà un aiuto forte.

Non lascerà vacillare il tuo piede,
non si addormenterà il tuo custode.

La seconda voce (un amico? un sacerdote, o levita, o profeta? o la voce interiore del salmista?) sostiene la sua fiducia, e la illustra con splendide immagini. E' da notare che il salmo è inserito nel gruppo dei "salmi delle ascensioni", che venivano usati probabilmente come canti di pellegrinaggio.

Non si addormenterà, non prenderà sonno,
il custode d'Israele.

Dall'originario contesto guerriero (Dio visto come una sorta di "custode" armato) il salmo diventa la preghiera del pellegrino, e come tale può essere recitato da noi cristiani. La voce rassicurante può essere così intesa come quella di un compagno di viaggio: nel nostro cammino non mancherà mai chi diventa segno della protezione divina.

Flash sulla seconda lettura

Carissimo, rimani saldo in quello che hai imparato e di cui sei convinto: il brano si presenta come esortazione e incoraggiamento. Si tratta di una delle funzioni fondamentali di ogni educatore cristiano, non solo dell'apostolo o del pastore. Incoraggiare, stimolare, spronare significa però credere nell'azione dello Spirito, non sostituirsi ad essa. Il punto di partenza è sempre la fiducia che Dio stesso ha iniziato un'opera speciale nella persona che si intende aiutare.

"sapendo da chi l'hai appreso e che fin dall'infanzia conosci le Sacre Scritture": le due certezze che accompagnano il credente sono da un lato la testimonianza diretta che egli ha ricevuto, dall'altra la testimonianza della Scrittura, che proviene da Dio stesso. Testimonianza umana e testimonianza divina convergono. Noi riceviamo la fede per l'intervento concreto di un annunciatore umano, di una persona che ci fa conoscere il Cristo (genitore, catechista, sacerdote, amico...), ma anche la testimonianza più perfetta resta incompleta se non approda alla conoscenza oggettiva della Scrittura. Solo allora la fede è matura e poggia su basi solide.

"Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia": si tratta di passare da un atteggiamento puramente passivo, di recezione, di ascolto, di educazione, ad un atteggiamento attivo, di testimonianza. Il dono ricevuto chiede di essere condiviso. Chi accoglie la parola nel cuore, prima o poi è chiamato ad annunciarla.

 

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