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TESTO Accettare la potatura per dare più frutto

don Antonino Sgrò

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V Domenica di Pasqua (Anno B) (28/04/2024)

Vangelo: Gv 15,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 15,1-8

1«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

«Non potete far nulla». Può accadere ad ognuno di noi di sperimentare un senso di impotenza che paralizza l'anima quando ad esempio non capiamo perché una persona improvvisamente non fa più parte della nostra vita, oppure quando un progetto che consideriamo essenziale per il nostro futuro non si realizza. In questi casi è necessario avere ben chiaro su cosa si fonda l'esistenza, perché poggiandoci unicamente sulla speranza che il corso degli eventi sia favorevole, rischiamo di soccombere dinanzi a circostanze avverse che ci frantumano interiormente. Ma a questa espressione di umana impotenza Gesù premette un'altra, «senza di me», con la quale ci fa intravedere la via d'uscita da ogni situazione di fallimento: è la comunione con Lui la strada per portare frutto. L'immagine usata per indicare tale intima relazione è quella della vite con i tralci. L'evangelista esordisce con una sostanziale novità riguardo l'impiego dell'allegoria, perché negli scritti profetici la vigna aveva sempre rappresentato Israele. Adesso è Cristo stesso la vite piantata dal Padre, è Gesù che realizza nella propria persona quei frutti abbondanti d'amore che Dio si attendeva da tutta l'umanità. Il tralcio è destinato a portare frutto ‘in Lui', poiché nella vite e nei tralci scorre la medesima linfa, e fuori di Lui non c'è possibilità di vivere e generare vita. È importante chiedersi se crediamo fermamente a questa verità, perché spesso persino il credente si ostina a percorrere vie che non sono quelle del Signore, vuole sperimentare la propria autonomia, pensando di aver trovato la chiave della felicità indipendentemente dai comandamenti di Dio e dalle sue ispirazioni. Così facendo, si diventa un tralcio improduttivo, che in Israele veniva tagliato verso marzo o aprile: ciò che produciamo senza Cristo, anche se può apparire bello a vedersi, in realtà è solo morte e richiede l'eliminazione radicale.

In agosto si mondavano i germogli più deboli per favorire i migliori. Ora, la potatura è un taglio che se sul momento mortifica e fa piangere la pianta, in seguito la rende capace di generare un frutto più abbondante. Ogni taglio fa soffrire, lascia il segno, ma il credente, se vuole che da esso derivi un germoglio tutto nuovo, è chiamato ad accettarlo per amore, confidando nella promessa di fecondità di Dio. Come vivere l'attesa di dare frutto quando ancora stai rimpiangendo lo stato precedente in cui eri qualcuno, mentre ora non sei niente? È lo stato di ‘beata inutilità', che agli occhi del mondo costituisce un fallimento totale, perché oggi vali se sei un numero e produci, mentre agli occhi del Signore è la pazienza fiduciosa di lasciar fare a Lui in te. E il Signore fa crescere nel silenzio e nel nascondimento, come quel parroco anziano privo di idee pastorali innovative, ma che in realtà con la sola presenza orante e l'ascolto aveva consolato cuori di tutte le età.

L'appello di Gesù si fa poi più diretto: «Rimanete in me e io in voi». È un invito appassionato ma rispettoso della libertà umana, la raccomandazione del padre che intende coinvolgere nelle sue iniziative il figlio, senza imporsi. D'altra parte, se noi non vogliamo dimorare in Gesù, non c'è alcuna motivazione spirituale che regga, perché la voce del mondo sa essere molto convincente e agisce compulsivamente sulla nostra immaginazione. Invece, per rimanere con Cristo, occorre pensare al frutto che vogliamo produrre, all'amore su cui intendiamo investire. Chi scommette sulle soddisfazioni terrene trae un benessere immediato ma che si esaurisce presto; chi investe sull'amore che viene dall'alto dovrà attendere che le intenzioni d'amore maturino in opere, accontentarsi a volte di tratteggiare sentieri che altri percorreranno, ma avrà la gioia di riposare nella volontà di Dio. Gesù insiste: per avere la certezza di rimanere in Lui non dobbiamo staccarci dalla sua Parola, come un infante non vorrebbe mai staccarsi dal seno materno. Questo darà la felice sensazione di possedere tutto ciò che desideriamo, perché i nostri desideri si saranno conformati ai suoi: «Chiedete quello che volete e vi sarà fatto». Non chiederemo niente di diverso di quanto la Provvidenza ci assegna, con la gioia di rendere gloria al Padre per il fatto che produciamo i frutti che Egli si aspetta da noi.

È questo il cammino del discepolo, mai sterile, come vorrebbe far credere il Maligno per scoraggiarci. La comunità nata dalla Pasqua sa condividere i frutti dei singoli e imbandire una tavola di cibi succulenti a beneficio di tutti, anche di chi ancora non ha portato frutto.

 

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