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TESTO Uno spirito che vuole solo “sprigionarsi”

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Pentecoste (Anno B) - Messa del Giorno (31/05/2009)

Vangelo: Gv 15,26-27; 16,12-15 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 15,26-27; 16,12-15

26Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; 27e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.

12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.

Lo Spirito di verità vi guiderà alla verità tutta intera

Vivere come Gesù! Sarebbe bello, ma si può? Non è una domanda oziosa o impertinente. È una questione, anzi “la” questione che ha animato tutta la vicenda terrena dello stesso Gesù di Nazaret.

1. Era venuto per insegnarci a vivere da uomini veri, da veri figli di Dio. Per questo si era speso senza se e senza ma: aveva percorso in lungo e in largo le strade polverose della Palestina; si era battuto con tutte le forze per dirci che non dobbiamo avere paura di Dio, perché Dio è Padre; aveva dovuto sfidare la dura opposizione di avversari irriducibili, di farisei e sadducei, affrontando polemiche roventi che lo avrebbero portato alla morte; si era circondato di discepoli generosi, ruvidi ma affezionati, che però non erano riusciti a capire il cuore del suo progetto. Alla sera della sua vita, Gesù si ritrova solo con i Dodici, nel cenacolo, e si abbandona a una confidenza che tracima dal suo cuore e dilaga come un fiume in piena. Sembra che in queste ultime ore voglia riprendere daccapo la “sua” questione: “deve” morire, perché non può insegnarci a vivere se non insegnandoci a morire (e non bastano certo le parole per insegnare a morire). D’altro lato noi non possiamo vivere senza di lui: dunque ha bisogno di un prolungamento della sua esistenza: come altrimenti insegnare a vivere a quanti sarebbero venuti dopo di lui?

Gesù sa che non deve temere, e non devono temere neanche i suoi discepoli. Non resteranno orfani: il Padre ha ascoltato la sua preghiera e manderà un altro Paraclito, altro ma non diverso, che non dirà cose diverse da Gesù e non farà cose diverse. Sarà un “sostituto” che non renderà superflua l’opera di Cristo, ma - come un efficace, insostituibile “mediatore” - la farà essere presente, in modo permanente e per tutti. E come è stato l’anima segreta della vita di Gesù, il Paraclito sarà l’anima segreta della vita dei discepoli: perché vivano come lui, di lui, per lui, con lui. Potevamo ricevere un dono più grande?

2. Ma chi è lo Spirito Santo? Un giorno a s. Paolo, arrivato ad Efeso, capitò un episodio curioso: quando incontrò dei cristiani, chiese loro se avevano ricevuto lo Spirito Santo, e si sentì rispondere: “Non abbiamo neanche sentito dire che esista uno Spirito Santo” (At 19,1-2). È una risposta che potrebbe essere sottoscritta da molti cristiani. Resta la domanda: chi è lo Spirito Santo? Un grande padre della Chiesa - s. Gregorio di Nissa - di norma così controllato nel suo linguaggio da passare per uno di quei teologi che spaccano il capello in quattro, affermava con linguaggio spericolato: “Se a Dio togliamo lo Spirito Santo, quello che resta non è più il Dio vivente, ma il suo cadavere”. Facendo il verso ad una espressione tanto ardita, verrebbe da dire che, a maggior ragione, se alla Chiesa togliamo lo Spirito Santo, quello che resta non è più il santo popolo del Dio vivente, ma un cimitero sterminato di cadaveri, così come si legge nel profeta Ezechiele. Ma forse possiamo sfiorare almeno qualche frangia del mistero sfolgorante dello Spirito Santo, se ci poniamo un’altra domanda: cosa fa lo Spirito Santo? Non ci resta che contemplarlo “in azione”, nel giorno della sua irruzione nella storia, a Pentecoste.

S. Luca ci dipinge l’evento in contrasto con la pagina della torre di Babele. A Babele si parte dall’unità di lingua e si arriva drammaticamente alla dispersione dei “figli di Adamo”; a Pentecoste si parte dalla varietà di “tutte le nazioni che sono sotto il cielo” (At 2,6) e dalla diversità delle rispettive lingue per arrivare all’unità dei cuori, nella comprensione dello stesso messaggio. Ma occorre domandarsi: perché a Babele Dio stesso si incarica di confondere le lingue in modo che “non comprendano più l’uno la lingua dell’altro” (Gen 11,7)? Perché - rispondiamo - l’unità di Babele era una unità “secondo la carne”, perseguita con la tenace ambizione di “farsi un nome” (cfr. Gen 11,4). Si tratta di una unità programmata con la mira egemonica di assicurare l’unità tra gli uomini attraverso un dominio universale e con la non troppo malcelata strategia di un imperialismo politico-religioso. La conseguenza ineluttabile non poteva che essere la divisione. Commenta amaramente quella pagina un antico midrash: “Quando si rompeva un mattone, tutti piangevano; quando moriva un uomo, nessuno se ne dava pensiero”.

A Pentecoste il dono dello Spirito ristabilisce l’unità delle lingue che era andata perduta a Babele e prefigura così la dimensione universale della missione degli apostoli. La Chiesa nasce unita e universale, una e cattolica, con una identità precisa ma aperta, che abbraccia il mondo ma non lo imprigiona, secondo la stupenda immagine del colonnato di s. Pietro del Bernini: due grandi braccia materne che si aprono ad accogliere tutti, ma non si richiudono per trattenere alcuno. Cogliamo così il duplice dinamismo dell’azione dello Spirito Santo nella Chiesa: da un lato egli la spinge verso l’esterno per farle accogliere in un grande abbraccio un numero sempre maggiore di figli; dall’altra la rinvia al suo interno per farle consolidare e approfondire l’unità raggiunta. È un moto di sistole e di diastole, un respiro di in-spirazione ed e-spirazione, un dinamismo di concentrazione e di espansione.

3. Mettiamo a fuoco il momento unitivo, servendoci di una immagine cara a s. Agostino: lo Spirito Santo è l’anima della Chiesa. Ciò che l’anima è per il corpo, lo Spirito Santo lo è per il corpo di Cristo, la sua sposa, la Chiesa: è il principio del suo essere e del suo operare; è il principio della sua preghiera e del suo amore; è il principio della sua molteplice varietà e della sua indistruttibile unità. Egli fa nella Chiesa ciò che fa nella santa Trinità: unisce per distinguere e distingue per unire. Per questo la Chiesa è interamente sospesa al cielo. Ma grazie all’energia dello stesso Spirito del Risorto, la Chiesa è anche interamente legata alla terra, incarnata nella storia, impegnata ad andare dappertutto, fino ai confini del mondo, per portare la buona novella della salvezza a tutti.

Lo Spirito Santo costruisce la comunione e spinge alla missione; crea l’unità senza farla scadere ad uniformità; apre alla evangelizzazione del mondo evitando sempre la mondanizzazione del vangelo.

Lo Spirito Santo è fuoco che vuole avvampare; s. Paolo ci scuote: “Non spegnete lo Spirito”.

Lo Spirito Santo è vento che non si può imprigionare: beati noi se non cercheremo di fare resistenza al “vento di Dio”.

Lo Spirito Santo è come la colomba: è bellezza radiosa e raggiante, da ammirare con umiltà e da accogliere con gratitudine.

Lo Spirito Santo è libertà, amore, bellezza: che fine ha fatto nella nostra vita e nelle nostre comunità? Siamo il cenacolo dello Spirito o la sua tomba? Lo teniamo incatenato o lo lasciamo libero di scatenarsi e di “sprigionarsi”?

“Vieni, Santo Spirito! Invadi il cuore dei tuoi fedeli! Irriga ciò che è arido, piega ciò che è rigido, riscalda ciò che è gelido, raddrizza ciò che è deviato!”.

Commento di mons. Francesco Lambiasi

tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi"
Ave, Roma 2008

 

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